Morte di uno 007 – Il mistero italiano di Vincenzo Li Causi - seconda parte
La seconda parte di una storia di spie tra Italia, Somalia e scenari internazionali, rimasta sempre avvolta nel mistero dopo la morte dell'agente siciliano nel 1993.
Di Serpico
(qui la prima parte...) Per cercare di far luce su questa vicenda sarebbe interessante parlare anche della comunità per recupero di tossicodipendenti Saman, il cui leader Mauro Rostagno venne ucciso nel 1988, per ordire dalla mafia ma nell’interesse di altri. Rostagno, ex leader del ’68, sociologo e giornalista, attraverso le sue inchieste si avvicinò troppo alla verità riguardo il traffico della droga, assoluto monopolio della mafia in combutta con altre entità. Forse anche Li Causi conosceva questi traffici! Possiamo credere di sì, al punto che il maresciallo parlava con Ilaria Alpi, forse gli fece delle confidenze. La giornalista Rai Ilaria Alpi indagò a lungo sul lucroso traffico di scorie radioattive e rifiuti tossici. Ne ebbe conferma quando si recò nella città di Bosaso, in Somalia, dove la cooperazione internazionale con a capo l’Itali stava costruendo una strada, con l’intento di interrare enormi quantità di rifiuti tossici provenienti dalle fabbriche italiane.
Un giro di affari lucroso che non doveva essere interrotto neppure dallo zelo di una coraggiosa giornalista, che aveva le sue fonti e i suoi confidenti. Uno di questi era Vincenzo, nauseato da un mondo al quale aveva creduto sin dai primi passi della sua carriera. Probabilmente venne “bruciato” proprio per questi motivi. Sapeva tante cose il maresciallo Li Causi, e pochi giorni dopo la sua misteriosa morte infatti avrebbe dovuto incontrare il giudice Casson proprio per parlare di traffici di armi, scorie radioattive in Somalia e di Gladio. Non fece in tempo perché mori nell’imboscata a Balad e sei giorni dopo, a Mogadiscio, morì in un agguato anche Ilaria Alpi.
Senza dubbio vi è un collegamento tra la morte di Li Causi e quella di un altro militare che apparteneva a Gladio, un parà della Folgore che prestò servizio in Somalia. Marco Mandolini, ucciso con quaranta coltellate e finito con la testa schiacciata con un masso di 20 chili. Il suo corpo martoriato da una ferocia inaudita venne rinvenuto in una scogliera a Livorno nel giugno del 1995. Pare che nell’ultimo periodo della sua vita Mandolini avesse deciso di indagare sulla triste fine di Vincenzo Li Causi. Pochi mesi prima della sua morte in Somalia, nel luglio 1993, nel territorio di Alcamo, nel trapanese, era stato scoperto un enorme arsenale di armi e munizioni, nella disponibilità di due sottufficiali dei Carabinieri, l’appuntato Vincenzo La Colla, che era stato nella scorta del ministro dei Beni culturali Vincenza Bono Parrino, e il brigadiere Fabio Bertotto, più volte in missione in Somalia; l’arsenale fu ritenuto appartenere alla struttura Gladio trapanese, che era stata guidata da Li Causi.
Misteri che si aggiungono a misteri che rendono più vicende apparentemente scollegate che formano una ragnatela nella quale districarsi ha solo esiti mortali. Come riportato nel libro già citato di Giannantoni “il 21 ottobre 2003 durante una puntata della trasmissione televisiva Report su Rai Tre un ex membro dell’organizzazione Gladio con tanto di passamontagna e voce camuffata, dichiarò che quella di Li Causi era stata un’esecuzione per non permettere al maresciallo di essere interrogato dalla procura che indagava su Gladio e sul misterioso centro Scorpione di Trapani. Ad uccidere lo 007 era stato un proiettile sparato da un fucile di precisione di fabbricazione russa”. Resta difficile credere, vista la particolarità dell’arma, che possa essere stata in possesso delle bande di ribelli somali. (qui la seconda parte...)
Foto - Lcc