La stiratrice – Storia di Graziella Campagna – Fatti di mafia “minore”
- Scritto da Effe_Pi
La tragica fine di una giovane della provincia di Messina, uccisa per aver messo inconsapevolmente a rischio due criminali latitanti.
Di Serpico
Ci sono storie della “mafia minore” ossia quei fatti accaduti in un contesto mafioso che non hanno una risonanza mediatica o un impatto sull’interesse generale delle persone. Sono storie destinate a cadere dell’oblio e nel dimenticatoio, tranne ovviamente per familiari e amici. Anzi, spesso l’intento è proprio questo, ossia cancellare la memoria di tragedie maturate in certi ambienti. Paura, omertà e vergogna non fanno altro che agevolare questi processi, spesso anche inconsapevolmente.
Ci sono delle storie, che più di altre, graffiano l’anima. La vicenda di Graziella Campagna è proprio una delle tante storie che oltre a graffiare l’anima era destinata a cadere in quel pozzo di oblio, complice il trascorrere del tempo. Graziella era una ragazza semplice e cresciuta in una famiglia numerosa. Nata a Saponara in provincia di Messina nel 1968, abbandona presto gli studi e trova lavoro in una lavanderia a conduzione familiare in nel vicino centro di Villafranca Tirrena. Ci va in autobus e lavora sodo per 150000 lire dell’epoca. È un lavoro in nero, ma sempre meglio di nulla. Graziella era una brava ragazza senza grilli per la testa.
Negli anni ottanta la provincia di Messina può definirsi abbastanza tranquilla. Mentre a Palermo si contano decine e decine di morti ammazzati, stragi, omicidi eccellenti e sparizioni. Siamo in piena guerra di mafia, le famiglie cittadine sono in subbuglio dalla terrificante ascesa dei corleonesi. Più che di una guerra si tratta di un vero e proprio sterminio dei nemici. Il sangue a Palermo fa rumore. A Messina invece non succede nulla di eclatante. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, nell’organigramma di Cosa Nostra la provincia di Messina non ha una vera rappresentanza. Nella commissione composta da capi mandamento (Rappresentanti di due o tre famiglie limitrofe e solo per la città di Palermo) e dai rappresentanti provinciali, pare non vi siano le cosche messinesi, a differenza di quelle di Catania e Trapani ad esempio.
Tuttavia questi “formalismi” non devono ingannare sul fatto che anche nel Messinese vi fossero delle cosche mafiose, anche strutturate e pericolose. Mafiosi che trafficavano in armi e droga, attive nelle estorsioni e nel modo degli appalti, ben inserite nelle pubbliche amministrazioni. Una mafia che gode anche di una invidiabile posizione geografica, a poche miglia marine dal continente. La vita di Graziella scorre tra lavoro e famiglia senza nessun problema. La sua è una famiglia di gente perbene, senza amicizie pericolose o “ambigue” e all’epoca dei fatti il fratello faceva il carabiniere a Reggio Calabria. Il 9 dicembre 1985 accadde un fatto apparentemente irrilevante ma che invece sarà alla base della triste vicenda della sfortunata Graziella.
Tra i tanti clienti che frequentavano la lavanderia vi erano anche due uomini che venivano da fuori. Un certo ingegnere Cannata e il geometra Fricano. Graziella troverà dentro la giacca o sul pavimento un’agendina appartenente all’ingegnere. Non è chiaro cosa vi fosse appuntato nell’agendina, se ci fossero dei nomi o dei numeri. Fatto sta che i due signori non erano le persone che sembravano. Si nascondevano sotto falso nome ma erano due boss di Cosa Nostra, latitanti proprio in quella zona. Uno era Geraldo Alberti Jr, ossia il nipote di “U Paccarè”, boss di primo piano dei quartieri storici di Palermo, l’altro è Giovanni Sutera, anch’esso mafioso e guardaspalle dell’Alberti.
A Graziella l’agendina verrà tolta letteralmente delle mani da una sua collega e consegnata ai proprietari della lavanderia. Tornata a casa Graziella racconterà questo episodio ma nessun darà peso all’accaduto. Passano tre giorni e si arriva al 12 dicembre. Una giornata fredda e invernale. La lavanderia chiude alle otto di sera e come sempre Graziella si reca alla fermata dell’autobus che l’avrebbe riportata, come ogni giorno, a casa dalla sua famiglia. Non arriverà mai a casa sua. I familiari l’aspettarono invano, non era abitudine di Graziella fare tardi senza avvertire. Il presentimento che fosse successo qualcosa era nei pensieri della madre, in preda alla disperazione e al brutto presentimento che fosse successo qualcosa di grave.
Fecero immediatamente denuncia di scomparsa alla locale stazione dei Carabinieri, ma il maresciallo in servizio quella sera ritenne che l’adolescente si fosse attardata con qualche amico. Insomma, nulla del quale preoccuparsi. Qualcuno parlò di una “fuitina” con qualche spasimante o ragazzo con il quale aveva una frequentazione. I Carabinieri batterono subito questa pista, senza fare ulteriori indagini, e pure la titolare di Graziella sposò questa ipotesi. Peccato che tre giorni dopo la scomparsa, il cadavere della povera Graziella venne rinvenuto nella campagna di Forte Campone, vicino a Villafranca Tirrena. La uccisero a colpi d’arma da fuoco, con una lupara calibro 12 sparata a distanza ravvicinata. La ferita su un braccio dimostrò il suo vano tentativo di proteggersi dalla ferocia dei suoi carnefici. Intorno alla vicenda graviteranno tutta una serie di personaggi che muoveranno gli ingranaggi per depistare e inquinare le prove, allo scopo di celare un delitto di mafia e farlo passare per altro.
Per lunghi anni la famiglia chiese invano giustizia per la sua Graziella. Della vicenda si occupò anche la trasmissione tv “Chi l’ha Visto”, nel 1998. In seguito alle indagini su altri gravi fatti di sangue avvenuti nel Messinese, importanti collaboratori di giustizia dichiararono che Graziella fu uccisa perché inconsapevolmente aveva messo in pericolo la latitanza di Alberti e Sutera. A prescindere dal fatto che lei avesse capito qualcosa, riguardo l’identità dei due mafiosi, andava eliminata. La presenza dei due boss palermitani dimostrò il fatto che la mafia messinese, anche alla luce di altri omicidi eccellenti, era organica e ben inserita negli affari di Cosa Nostra. Tanti latitanti trovarono rifugio in questa provincia, solo apparentemente sonnolenta. E tutto doveva rimane segreto il più a lungo possibile. Probabilmente prima di essere uccisa Graziella venne interrogata.
Gli stessi titolari di Graziella vennero indagati per favoreggiamento e secondo alcune voci nella lavanderia era frequente la presenza di mafiosi. Solo nel 2004 arriverà l’ergastolo per Geraldo Alberti e Giovanni Sutera in primo grado. Nel 2008 uscirà un film per la TV dal titolo “La vita rubata”, dopo varie vicissitudini relative al ricorso in appello dei due mafiosi. Seguirono, dopo neppure vent’anni dalla sentenza di primo grado, feroci polemiche per la decisione del magistrato di sorveglianza di scarcerare Geraldo Alberti Jr per motivi di salute. Il Ministro della giustizia ordinò un’ispezione. Ennesimo sfregio alla memoria della giovane Graziella Campagna, vittima di mafia!
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