BRUNETTA TRA LIBERTA' E SICUREZZA
Ovvero, la libertà di espressione con la condizionale.
È di ieri l’editoriale pubblicato da Il Giornale in cui il capogruppo del Pdl Renato Brunetta afferma: “La Costituzione italiana è chiarissima. L'articolo 17 sancisce: 'I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi', lo Stato in cambio deve garantire sicurezza e libertà senza che fischi e disturbatori ne trasformino l'essenza. Questo vale anche per la rete. La virtualità del web diventa alibi per esercitare una violenza verbale per cui si pretende impunità".
L'ex ministro continua dicendo: "L'ingiuria e la minaccia non sono però meno reali, e lo sa bene chiunque sia stato bersaglio di un'orda anonima. Ma questa violenza non si esaurisce nell'impalpabile mondo dei social network. La rete, infatti, e' diventata la palestra dove ci si impratichisce nella barbarie, che poi si riversa, come per i vasi comunicanti, nella realtà reale. Le famose convocazioni della rete sono l'anello di congiunzione tra il virtuale e le aggressioni fisiche".
Brunetta auspica poi delle “iniziative di legge volte a trasformare la rete in un territorio della Repubblica soggetto alla Costituzione e alle norme che ne derivano” con l’intento di impedire “agguati nella giungla 2.0” e conclude con un monito: “Se non si interviene subito il virus delle contestazioni sistematiche sarà legittimato e diventerà endemico, così da indurre a rinunciare a incontri pubblici di chi e' sgradito a qualcuno”.
A questo punto c’è bisogno di qualche cenno storico sul travagliato rapporto in Italia fra la politica e il Web.
I nostri politici, al di fuori di Beppe Grillo (che non è chiaro se possa definirsi un uomo politico) non sanno usare il web. Anzi ne sono spaventati. Fino a qualche anno fa nemmeno lo contemplavano. Erano a conoscenza della sua esistenza ma lo consideravamo come un giochino per i più giovani. Poi hanno scoperto che la sua portata stava crescendo sempre di più, hanno letto sui giornali ci come Obama avesse vinto le presidenziali anche per mezzo di Twitter e dei social network e hanno iniziato ad usarlo. Male. O meglio, hanno assunto qualcuno che lo usasse per loro, trattando il mezzo con sufficienza, con lo spirito di un bambino che deve fare i compiti anche se non ne ha voglia: Ok, dobbiamo fare anche questo, facciamolo. Non bisogna generalizzare ma – tranne che per i deputati del M5S che invece devono anche a questo la loro ascesa – così è per molti dei quali ancora ci governano (nonostante tutto).
Da qui, la sostanziale estraneità e diffidenza, reciproca, nei confronti di questa “giungla”, come la chiama Brunetta. Qualcuno direbbe che questa presa di posizione da parte di una consistente parte del mondo politico sia dovuta al fatto che le Tv ormai sono più o meno facili da controllare, i giornali – in questo Paese – pure. Il web no. Molto più probabilmente invece l’atteggiamento nei confronti del web è il solito, la prima reazione usuale, il riflesso incondizionato più vecchio del mondo: non conosci qualcosa, ne hai paura. È successo con la radio, con il cinema, con la televisione, è successo e sta succedendo, specie qui da noi, con il web.
Ma anche se non si conosce il mezzo in questione, prima di iniziare la solita caccia alle streghe basterebbe riflettere un attimo su un semplice fatto: il web è un mezzo, appunto. E in quanto tale, anche se può amplificare, distorcere e trasformare (in parte) dei messaggi, non fa altro che accogliere degli atteggiamenti reali. Di certo non li crea, li accoglie. C’è più facilità e velocità forse nell’organizzare le “famose convocazioni”, che siano cortei o contro-cortei, ma il mezzo non è la causa di certi malumori che sfociano in insulti se non in azioni concrete, è solo il luogo e il modo in cui questi malumori si esplicano. Il web è una piazza, e chiudere le piazze o farle sorvegliare non è auspicabile, né poi così originale, né servirà a reprimere i malumori in questo momento storico. Anzi.