La Cosca di Corso dei Mille - Storie e misteri di Mafia
- Scritto da Effe_Pi
La storia di una delle cosche più importante della guerra di mafia in Sicilia negli anni '80, stretta alleata di Riina ma talmente sanguinaria da diventare un problema anche per lui.
Di Serpico
Nella seconda guerra di mafia degli anni ottanta che vide contrapposte le famiglie dei corleonesi di Totò Riina, Provenzano e Bagarella contro le storiche famiglie palermitane dei Bontate, Inzerillo e Badalamenti si contarono nella sola Palermo dal 1981 al 1985 oltre mille morti ammazzati. Praticamente ogni due giorni venivano assassinate tre persone. Questo, senza considerare gli scomparsi attraverso la “lupara bianca”, triste metodo di eliminazione mediante il sequestro della vittima, spesso attraverso il tradimento di amici e persino parenti, e la conseguente distruzione e occultamento del cadavere. Agguati con fucili e pistole, strangolamenti, torture e cadaveri sciolti nell’acido e prima ancora bruciati con enormi graticole o fatti sparire in infranti rocciosi, in mare o in fosse scavate in campagna.
Più che una guerra alcuni analisti la definirono una vera e propria caccia all’uomo attraverso una chiara volontà di annientare interi clan, famiglie e schieramenti. I corleonesi eliminarono i loro nemici e chiunque non dava garanzia di massima fedeltà e obbedienza. Persino “gli indifferenti” dovevano considerarsi a rischio e pure quei mafiosi particolarmente zelanti e “autonomi”. Riina e i suoi viddani si insinuarono silenziosamente e in maniera subdola e diabolica in ogni famiglia, creando una fitta rete di uomini d’onore che li informavano di ogni particolare. “U Curtu” conosceva vizi e virtù, sapeva essere riconoscente e solleticava la bramosia e la sete di potere dei picciotti. Conosceva le ambizioni, i malumori e le dinamiche interne alle famiglie.
Arrivato il momento di sferrare l’offensiva definitiva, Riina ha bene a mente lo schieramento che consentirà ai contadini di Corleone di instaurare, per la prima volta nella storia di Cosa Nostra, una vera e propria dittatura, come tale caratterizzata dal terrore e dalla paura. Uno dei clan che si distinguerà per ferocia e per l’assoluta fedeltà a Riina sarà quello di Corso dei Mille. La famiglia mafiosa dei Marchese controllava da sempre ampi territori dentro la città di Palermo sino ad estendersi in importanti centri della provincia. Trafficanti di droga, imponevano il pizzo e controllavano tutti gli appalti direttamente o attraverso dei prestanome in tutto il territorio di loro influenza. Il boss spietato a capo della famiglia di Corso dei Mille era Filippo Marchese, nato a Palermo nel settembre del 1938.
È una figura di spicco della mafia siciliana, sospettato e responsabile di decine e decine di omicidi tra i quali anche quelli eccellenti del generale Carlo Alberto della Chiesa, ucciso a Palermo nel 1982. Lo spessore criminale di Filippo Marchese emerse solamente, a seguito di importanti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, solo nel 1986 durante il maxiprocesso a Cosa Nostra. Era zio di Antonino e Giuseppe Marchese, giovanissimi killer delle squadre della morte di Riina. Giuseppe diventerà un importante collaboratore di giustizia mentre Antonio morirà da irriducibile nel carcere di Secondigliano nel 2022. La loro sorella Vicenzina si sposò con Leoluca Bagarella, boss spietato corleonese e cognato di Totò Riina. Il matrimonio sugello il patto d’acciaio tra i corleonesi e la famiglia Marchese di Corso dei Mille.
Anni dopo Vicenzina si suicidò a seguito di lunghi periodi di depressione e dall’impossibilità di avere figli. Non riuscì a portare a termine nessuna delle sue numerose gravidanze e si convinse di essere vittima di una punizione divina dopo che il marito Leoluca Bagarella aveva deciso la morte del piccolo Di Matteo, rapito e ucciso in quanto figlio del pentito Santino di Matteo. In stato di prostrazione s’impiccò. Così la trovò suo marito, che successivamente ne occultò il corpo in un luogo segreto. Totò Riina portò una cravatta nera in segno di lutto e Leoluca Bagarella, latitante, invece sparì senza partecipare ad azioni criminali per un certo periodo. Nell’estate del 1982 Marchese sarebbe stato protagonista di vari omicidi nella provincia di Palermo, tra Altavilla Milicia, Casteldaccia e Bagheria, conosciuti come “Il triangolo della morte”. La brutalità e la ferocia di Filippo Marchese furono tali che allestì in una casa diroccata composta da due stanze lugubri e buie, sul lungomare di Palermo, una la cosiddetta “Camera della morte” di Piazza sant’Erasmo.
Lì venivano portati i nemici della famiglia da eliminare. Ma prima di ucciderli Marchese li interrogava per carpire informazioni e dopo averli torturati stringeva loro una corda al collo e li strangolava. I corpi venivano poi sciolti nell’acido e buttati in mare o occultati nei tanti cimiteri di mafia. Il suo delirio fu tale che Filippo passava praticamente tutte le sue giornate dentro la camera della morte a “scannare cristiani”. I collaboratori di giustizia in seguito dichiararono che Filippo Marchese prima di mandare al creatore la vittima designata si faceva il segno della croce. Marchese con il passare del tempo perse il senso della realtà e divenne ancora più sanguinario e brutale, oltre che paranoico e cocainomane. Riina e Michele Greco si preoccuparono della stabilità mentale del loro alleato. Considerato ormai un pazzo, e pertanto incontrollabile, rappresentava una minaccia per e Totò Riina vista la sua natura violenta e sanguinaria.
Per questo motivo diede l’ordine di ucciderlo e di scioglierlo nell’acido, nel settembre del 1982. All’inizio del Maxiprocesso circolarono le prime voci sulla sua scomparsa. Ne parlò per primo Totuccio Contorno. Successivamente il nipote Giuseppe Marchese confermò la morte dello zio, dopo il suo pentimento nel 1992. Nel 1997 il killer Salvatore Cucuzza si pentì a sua volta, confermando le dichiarazioni precedenti. Ancora oggi nell’organigramma del potere mafioso a Palermo la cosca di Corso dei Mille, anche se fortemente indebolita, è una delle più attive nel racket delle estorsioni e nel traffico di droga.
Foto: brian.ch su Flickr