Il Sistema Sardegna e i rapporti mafie - banditismo: Seconda parte
- Scritto da Giornalista Pubblicista
La seconda parte del nostro racconto sulle organizzazioni criminali locali dell'isola e i loro stretti legami con quelle del Meridione italiano.
Di Serpico
È indubbio che la criminalità sarda si trasformi e cambi pelle. Storicamente la sua tipicità era di trarre origine dal latifondo, o meglio dalle dinamiche interne al mondo agropastorale, con reati tipici quali abigeato, furto, danneggiamenti, sconfinamenti di pascolo. I primi sequestri di persona furono a danni dei “possidenti”, in un’ottica di rivalsa sociale, successivamente vennero operati a danno di imprenditori, benestanti e spesso anche contro nemici, per eliminare la concorrenza e appropriarsi dei loro beni. Condizioni storiche e mutamenti sociali, insieme a importanti interventi legislativi, hanno reso il più vile dei reati poco attrattivo. Le stesse faide in molti paesi in Sardegna originavano da dissidi interni a gruppi criminali e provocavano (ancora oggi avvengono diversi omicidi), fatti di sangue molto gravi.
Ora il traffico di droga, di armi, le estorsioni, le rapine e l’assalto ai portavalori sono le attività predilette dei “nuovi banditi”. Alcuni di loro hanno spiccate doti criminali, in passato sono stati organizzatori di sequestri, personaggi scaltri, guardinghi, sospettosi e circondati da fiancheggiatori e complici che ne agevolano le attività. Nel traffico di stupefacenti è altamente probabile che si entri in contatto con elementi della malavita organizzata e si cerchi di apprenderne le tecniche, i codici e alcune regole che renderebbero le associazioni criminali più solide e impermeabili. In diverse carceri della Sardegna, sono tanti i detenuti per reati di mafia, pertanto è facile creare amicizie che potrebbero risultare utili. La malavita sarda ha sempre avuto una grande considerazione all’interno delle organizzazioni criminali “continentali”. Gli esempi sono tanti. Uno è Marcello Ladu, ogliastrino di Villagrande condannato all’ergastolo per la famosa strage di Copertino, dove vennero uccisi durante una rapina ad un portavalori tre vigilantes. Insieme ad altri sardi, Ladu era legatissimo al boss brindisino della Sacra Corona Unita, Vito di Emidio. Era praticamente il suo braccio destro.
Nella terribile faida di Mamoiada di inizio anni ’90, che vide contrapposte le famiglie Mele e Cadinu, le tecniche di eliminazione dei nemici assumono caratteri “non locali”. Bombe telecomandate per far saltare in aria un’auto blindata, killer travestiti da finanzieri che sparano in pieno giorno, un’autobomba per far saltare in aria Alberto Balia, individuato dai suoi nemici in un paesino in Provenza, dove si rifugiò dopo la sua collaborazione con la giustizia. Per cogliere impreparato l’avversario vennero utilizzati efficienti killer venuti da lontano. Alcuni latitanti di Mamoiada, forti delle amicizie maturate in carcere, trascorsero la latitanza in Sicilia, ospiti del potentissimo clan dei Madonia. Visto che si trovavano lì hanno potuto rendere i loro servizi anche alle cosche. Per una vicenda legata all’acquisizione di terreni da edificare nella zona di Bidderosa, ad Orosei, vennero uccisi nel giro di pochi anni tre fratelli di Mamoiada. In particolare, per un omicidio perpetrato in pieno giorno nel centro di Nuoro, si scoprì che il killer era un giovane di San Giuseppe Vesuviano in trasferta. Nel settore immobiliare nel Nord Sardegna, ma anche nella zona di San Teodoro e Budoni e nel Sud Sardegna, da anni sono presenti interessi mafiosi, che investono e riciclano proventi da altre attività criminali. Pippò Calò, il cassiere di Cosa Nostra, investi ingenti somme nell’isola, a partire dagli anni ‘70. Nell’inchiesta sulla loggia P3 di qualche anno fa, in riferimento all’eolico e alle energie alternative, spuntò il nome del faccendiere Flavio Carboni, che non ha bisogno di presentazioni. Questi sono esempi importanti per comprendere che siamo di fronte ad una trasformazione del modus operandi criminale in Sardegna. Lo dimostra quest’ultima inchiesta. Vi sono tanti elementi che, senza voler creare allarmismi, vanno presi in considerazione per non rischiare di rimanere impantanati su schemi ancorati al passato che oggi non reggono più, considerata la velocità con la quale le organizzazioni, per continuare ad esistere, cambiano pelle.
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Foto | Carabinieri Ros