Chi ha paura della Coalizione Sociale? - Fotogalleria
- Scritto da Effe_Pi
Nasce il nuovo schieramento guidato dal leader della Fiom, ma sui media molte critiche e poche analisi su un soggetto simile a modelli di successo europei.
Decine di migliaia in piazza, tanto entusiasmo e una partecipazione “di popolo” più ampia che in altre occasioni degli ultimi anni, con tanti giovani precari e la vera “classe operaia” dei miti, quella che in tutte le analisi sociologiche degli ultimi decenni si suppone ormai divisa tra la Lega, Grillo e qualche residuo berlusconiano. Questa è stata la piazza del Popolo del segretario Fiom Maurizio Landini, che accompagnato sul palco e in corteo da lavoratori in carne ed ossa (tra cui la precaria sarda della scuola Amanda Garau e gli operai del Sulcis con l’ormai classica bandiera dei Quattro Mori), compagni di sindacato e intellettuali come Rodotà e Zagrebelsky (di quest’ultimo è stato letto un messaggio), ha lanciato sabato a Roma la sua “Coalizione Sociale”, che si propone come alternativa al Premier Renzi. Un’alternativa da sinistra (anche se il sindacalista rifiuta etichette troppo precise), che porta a compimento il percorso del movimento dei “costituenti” guidato un anno fa dallo stesso Rodotà, e combatte in primis le politiche del lavoro (Jobs Act) e le riforme istituzionali del governo attualmente in carica.
Fin qui, la breve cronaca della giornata, ben spiegata anche dalle foto sotto. Ma ciò che incuriosisce sono le reazioni. Se infatti è normale che gli avversari politici di Landini (in primis i renziani del Pd) minimizzino riducendo il tutto alla nascita del solito partitino, un po’ meno consuete sono la sottovalutazione e il fuoco di sbarramento dei media anche progressisti, verso un movimento che nasce in seno al principale sindacato italiano e ha portato in piazza di gran lunga più gente di qualsiasi altra manifestazione finita nella grande piazza romana negli ultimi anni, in primis quella dei leghisti di un mese fa, ad occhio almeno dieci volte meno di quelli di sabato. Ma oltre al numero, Landini col suo parlare colorito e da “pane al pane” ha anche la capacità di creare un entusiasmo che dopo le mille delusioni del “popolo di sinistra” non era per niente scontato. Lo fa parlando di argomenti che secondo i grandi comunicatori del Balpaese sono noiosi e non interessano le persone comuni: lavoro, addirittura rappresentanza sindacale, microchip nelle scarpe degli operai a Fincantieri, precari e scarsa capacità della Cgil di rappresentarli negli ultimi anni, addirittura richiami evidenti a una sinistra che “non cambia verso” come quella di Pietro Ingrao, lo storico leader comunista che proprio oggi compie 100 anni.
Per un “circo mediatico” serio, insomma, ci sarebbero tutti gli elementi per esaminare questo fenomeno, capire da dove nasce e magari se esistono affinità con quelli che stanno avendo successo in buona parte d’Europa, dalla Grecia di Syriza alla Spagna di Podemos. Invece, in tanti casi si preferiscono lo sfottò e la chiara denigrazione basata sulla dicotomia vecchio-nuovo, con “La Stampa” che addirittura dedica un intero pezzo per segnalare come in piazza ci fossero soltanto vecchie canzoni della sinistra storica come “Bella ciao” e non il rock e il rap dei giovani d’oggi, anche se in realtà i furgoni del corteo sparavano reggae (anche italiano) a tutto volume, e sul palco si è vista (seppure per un solo brano) la band romana del “Muro del canto”, attuale e di successo nei giri “underground” della capitale. Grande spazio sul mainstream anche alle legittime opinioni dello scrittore Francesco Piccolo, che considera il leader della Fiom “un reazionario” e parla di uno scontro che sorge ogni volta che la sinistra “si fa concreta” (senza ovviamente entrare nel merito dei provvedimenti presi da questa “concretezza”). Ciò che sorprende di più però sono i media “di opposizione” a Renzi, come il Fatto Quotidiano, che in un fondo intitolato “perché con Landini non Podemos”, spiega con un gioco di parole le differenza tra il sindacalista italiano e il “rampante” movimento che vuole cambiare la politica e la società spagnole. Per l’autore, Landini e i suoi vivono la “realtà come un’esteriorità persecutoria”, e dimostrano “per l’ennesima volta la tragica inattualità della sinistra italiana”, con l’autore che richiama addirittura i fallimenti passati della “dirigenza Pci-Pds-Ds-Pd”, in puro stile berlusconiano. Insomma, dopo il “fattore K” anticomunista, sembra che siamo pronti per vedere sui media italiani un “fattore L” (come Landini)? Chi ha paura della Coalizione Sociale, nelle redazioni e soprattutto tra gli editori?
Fotogalleria di Attilio Castellucci