Cambia la Costituzione: nasce il Senato dei nominati
- Scritto da Effe_Pi
Passa a Palazzo Madama la riforma di Renzi, che però non raggiunge i 2/3 necessari ad evitare il referendum promesso da Sel.
Berlusconi le ha più volte minacciate, Monti le ha promesse, Letta le ha avviate ma alla fine è stato Matteo Renzi il primo a riuscire ad approvare delle vere riforme costituzionali: è successo oggi, in una giornata che i sostenitori del governo e del suo premier definiscono “storica” e le opposizioni, che non hanno partecipato alla votazione finale, considerano nefasta, promettendo battaglia nei successivi passaggi e se necessario col referendum, visto che al Senato oggi Renzi non è arrivato ad avere i due terzi dalla sua parte (ma il Governo aveva detto che avrebbe accettato comunque di tenere il referendum confermativo della riforma).
La principale novità è l'introduzione del Senato delle autonomie, quindi d’ora in poi sarà una sola Camera a votare la fiducia. La funzione legislativa esercitata dalle due Camere viene dunque limitata. La competenza sarà di fatto esercitata dalla sola Camera dei Deputati, mentre il nuovo Senato avrà diritto di intervenire solo sulle materie indicate espressamente dalla Costituzione. Il nuovo Senato, pur mantenendo il nome attuale, rappresenterà le istituzioni territoriali. Novantacinque dei suoi componenti saranno scelti dai consigli Regionali e cinque dal Capo dello Stato. Nessuna Regione potrà avere meno di due senatori, incluse le province autonome di Trento e Bolzano. La ripartizione dei seggi si effettuerà in proporzione alla loro popolazione, la durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali nei quali sono stati eletti.
A votare a favore, oltre ai partiti di maggioranza, anche Forza Italia, mentre tutte le altre opposizioni (Sel, M5S, Lega) hanno abbandonato l’aula prima del voto decisivo. Questi movimenti hanno portato avanti un forte ostruzionismo, creando in alcuni casi (specie i leghisti) il caos nell’aula di Palazzo Madama. Chi si dice pronto a proseguire da subito la battaglia, anche fuori dalle aule parlamentari, è Sel, che annuncia la costituzione dei comitati per il No al referendum che deciderà se confermare o meno la riforma (dopo che sarà concluso – eventualmente - il suo iter di approvazione). La senatrice Alessia Petraglia, del gruppo di sinistra, ha detto che non si è “voluto legittimare nemmeno con il voto contrario una riforma fatta in fretta e furia senza mai cercare di creare un consenso ampio tra tutte le forze in Parlamento”. Non si tratta quindi di “una riforma condivisa”, e per la Petraglia Il vero lavoro “comincia ora, nel Paese, con la costruzione dei comitati per il No a questa riforma. Il referendum ci sarà, e non per responsabilità o graziosa concessione del ministro delle riforme. Il referendum ci sarà perché Renzi non ha i numeri per evitarlo: con 183 voti è ben lontano dai 2/3 previsti dalla Costituzione”. L’unica volta che in Italia si è celebrato un referendum confermativo di questo tipo, è stato nel 2006, quando gli elettori hanno bocciato la riforma predisposta dal governo di destra guidato da Silvio Berlusconi: il 61,29% (quasi 16 milioni di persone) si espresse contro, con un’affluenza del 52,4% (ma in questo tipo di consultazione non è necessario il quorum).