In Italia una sinistra nonostante la sinistra
- Scritto da Effe_Pi
Malgrado un risultato nel complesso positivo alle europee la sinistra italiana non sembra essere in grado di evitare le divisioni.
La sinistra italiana ha una gloriosa tradizione, che va dal Pci di Gramsci, Togliatti e Berlinguer al Partito socialista storico fino al movimento anarchico e a tutta la “nuova sinistra” nata negli anni ’60, libertaria, autonoma e spesso extraparlamentare. Nonostante i conflitti tra queste tendenze, essere di sinistra nel belpaese è stata quasi sempre una cosa seria, che coinvolgeva molti milioni di persone nel condividere una visione del mondo. Un aspetto però è sempre stato molto chiaro, specie negli ultimi decenni: le divisioni e l’autolesionismo di molti appartenenti a questo schieramento, specialmente del suo gruppo dirigente.
Né è l’ennesimo esempio quello che è successo subito dopo le Elezioni europee del 25 maggio: in questa consultazione, per la prima volta dopo molti anni (almeno dal 2006), la sinistra ha ottenuto un successo elettorale nazionale. Un successo parziale, certo, visto che si parla del 4% ottenuto di un soffio, superando il quorum per eleggere eurodeputati (in tutto tre), dalla Lista unitaria che porta il nome del leader della sinistra greca Alexis Tsipras, ma che viste le condizioni in cui si è svolta la campagna elettorale può essere comunque considerata una vittoria. Il soggetto politico era infatti nato pochissimi mesi prima delle elezioni, aveva un simbolo inedito, è stato completamente schiacciato, a livello mediatico, dalla falsa contrapposizione in stile referendum tra gli “unici” candidati, Renzi e Grillo (che peraltro candidati non erano) e ha pagato anche alcuni errori e distinguo dei suoi protagonisti.
Nel principale partito che sosteneva “L’Altra Europa", Sinistra Ecologia Libertà, fin dall’inizio c’è stata poca convinzione da parte di gruppi ed esponenti importanti, che preferirebbero portare avanti il legame col Pd spezzatosi dopo che quest’ultimo si era alleato con Berlusconi e tutto il centrodestra, successivamente alle elezioni del 2013. Queste tendenze sono subito riesplose dopo il 25 maggio, anche se la decisione di aderire alla Lista era stata presa durante il congresso nazionale di Riccione, in cui la “mozione” del capogruppo Gennaro Migliore, che oggi addirittura vorrebbe una fusione coi democratici, era risultata nettamente minoritaria. D’altro canto, la comunicazione voluta dagli intellettuali che hanno promosso l’idea (Revelli, Spinelli, Viale etc.) è stata spesso debole e contraddittoria, alcune strizzate d’occhio al Movimento 5 Stelle, specie da parte della stessa Barbara Spinelli, sono state malviste dai militanti, e in generale il profilo tenuto è sembrato troppo basso e poco “aggressivo”, sia verso Grillo che con lo stesso Renzi.
Eppure la Lista come “contenitore” ed embrione di una nuova sinistra, lontana dai compromessi con l’austerity del Pd e dal populismo spesso tendente a destra del M5S, ha creato entusiasmo tra migliaia di militanti e volontari, dei partiti e non, che si sono spesi in una miriade di banchetti e iniziative, prima per raccogliere le firme necessarie per la presentazione della Lista, poi per volantinare facendo conoscere candidati spesso giovani e poco noti, e infine organizzando eventi e cene di raccolta fondi ma soprattutto parlando con tante persone che non sapevano dell’esistenza di un simile progetto politico. Questa è probabilmente (insieme alla qualità di molti candidati) la ragione del piccolo "miracolo" della Lista Tsipras, che ha creato la speranza di un nuovo soggetto stabile alla sinistra del Pd. Ora però due spinte opposte ma in qualche modo convergenti sembrano voler distruggere in embrione questa creatura: da un lato quella di Migliore e dei molti (specie parlamentari e dirigenti) che in Sel vorrebbero una stretta alleanza se non addirittura una fusione col Pd, proprio nel momento in cui questo partito ha raggiunto il suo massimo storico e quindi avrebbe meno bisogno di apporti esterni, ma soprattutto proprio quando il suo leader Renzi sembra aver abbandonato qualsiasi retaggio "socialista" e parla apertamente di un "partito della nazione" ultra maggioritario, e dall'altro lato i promotori della Lista che sembrano vedere con insofferenza la presenza di partiti organizzati, che pure sono stati fondamentali per quel 4%.
In tutto ciò, Barbara Spinelli, che probabilmente pur avendolo fatto in buona fede ha sbagliato a candidarsi, visto che subito dopo aveva dichiarato che avrebbe rinunciato all'eventuale seggio, ora che l'ha ottenuto sembra aver cambiato idea (spinta anche dalle insistenze di Tsipras), ma in questo modo non fa altro che compiere una totale incoerenza, rompendo anche quel fragile equilibrio tra le componenti che avevano eletto i tre parlamentari europei (uno dei promotori, uno di Sel, uno di Rifondazione comunista). Insomma, una guerra su due fronti, con in mezzo gli eletti e i tanti militanti che si sono sbattuti per due mesi e ora si ritrovano con una parte del loro teorico schieramento che vuole entrare nel Pd e l'altra che sta pensando di mancare alla parola data nel primo impegno di campagna elettorale. Entrambe con le loro motivazioni probabilmente in buona fede, ma che in questa maniera, anche a giudicare dalle tante reazioni registrate in questi giorni per strada, negli uffici e sui social network, otterranno il solo risultato di disgustare migliaia di militanti più o meno giovani verso la politica attiva, chiudendo per chissà quanti anni ogni possibilità di far nascere un nuovo soggetto di sinistra in Italia. Una responsabilità storica che non sarebbero i primi ad assumersi ma che un peso ce l'ha, e loro per primi dovrebbero esserne consapevoli, invece di parlare di poltrone da accettare o rifiutare per più o meno nobili motivi.