Giappone, ritorno a Fukushima
In seguito al disastro, tutti i 54 reattori del Giappone erano stati spenti in attesa di essere sottoposti ai test di sicurezza secondo standard più rigidi.
Il 9 marzo, pochi giorni prima del quinto anniversario dello tsunami e del disastro alla centrale nucleare di Fukushima, un tribunale ha ordinato la chiusura di due dei quattro reattori rimessi in funzione nel paese dopo l’11 marzo 2011.
In seguito al disastro, tutti i 54 reattori del Giappone erano stati spenti in attesa di essere sottoposti ai test di sicurezza secondo standard più rigidi. Il paese ha fatto a meno del nucleare e ha prodotto energia quasi unicamente da fonti fossili per circa due anni. Poi sono stati riattivati due reattori nel sud del Giappone nell’agosto e nell’ottobre del 2015. Nel 2016, infine, è stata la volta dei reattori 3 e 4 dell’impianto di Takahama, che ora il tribunale vuole chiudere.
La Kansai Electric, che gestisce la centrale, ha deciso di fare appello contro l’ordinanza. Una cattiva notizia per il governo di Shinzō Abe, che preme per tornare in fretta all’energia atomica nonostante gran parte dell’opinione pubblica sia contraria.
Cinque anni dopo lo tsunami, che causò 16mila morti e 350mila sfollati, circa 60mila persone vivono ancora in alloggi provvisori. A Naraha, la prima tra le città evacuate per le radiazioni, solo pochi sono tornati. La decontaminazione nelle zone colpite dalle radiazioni continua, ma non si è ancora trovata una sistemazione per i 700 milioni di metri cubi di terra radioattiva, raccolti per ora in sacchi neri che costellano il paesaggio intorno alla centrale Fukushima daiichi.
Dai reattori spenti continua a uscire acqua contaminata, che la Tepco, gestore della centrale, intende contenere congelando il terreno circostante. Il piano è quasi pronto ma l’autorità indipendente per il nucleare l’ha bloccato per il rischio ancora alto di perdite. A preoccupare è anche la situazione dentro i reattori, dove c’è del combustibile e dove nemmeno i robot possono entrare.