Kazakistan, impreparati contro l’Isis
I governi della regione hanno ingaggiato una lotta contro la minaccia terroristica, usandola però spesso per colpire i dissidenti e restringere la libertà dei cittadini.
Il 18 luglio un uomo ha preso d’assalto una stazione di polizia ad Almaty, capitale economica del Kazakistan, uccidendo tre agenti e due civili.
Per le autorità kazache si è trattato di un attentato di matrice islamista. Pare che l’attentatore, Ruslan Kulikbayev, quand’era in carcere si fosse avvicinato alla corrente salafita.
È il secondo attentato di questo genere in meno di due mesi. L’indebolimento del gruppo Stato islamico (Is) sul piano militare e territoriale, sia in Iraq sia in Siria, sta spingendo molti combattenti delle repubbliche centroasiatiche a tornare nei paesi d’origine, dove formano cellule dormienti pronte ad agire, proprio come prevede la strategia del califato.
In Kirghizistan 38 persone sono indagate dopo essere tornate da Siria e Iraq, dove si calcola combattano 500 kirghizi. I kazachi sarebbero 400 e 1.300 i tagichi. I governi della regione hanno ingaggiato una lotta contro la minaccia terroristica, usandola però spesso per colpire i dissidenti e restringere la libertà dei cittadini: in Tagikistan il governo se n’è servito per mettere al bando il Partito del rinascimento, di matrice islamica.
In Uzbekistan nel 2015 più di 12mila persone sono state incarcerate per presunti legami con l’Is o con il gruppo Hizb ut- Tahrir. “Finché in questi paesi ci saranno autoritarismo, povertà e corruzione”, scrive The Diplomat, “combattere la minaccia del jihadismo sarà difficile”.
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