STRAGE DI CAPACI, LA MEMORIA NON BASTA
Mafia. Oggi è il 21° anniversario della morte di Giovanni Falcone.
Una foto, due navi che partono alla volta di Palermo, tanti video e troppe parole retoriche, facili, di solidarietà, di sostegno, di sdegno. Ecco quello che rimane di Giovanni Falcone e della sua scorta. Parole, tante parole, e nemmeno una per far luce sulla verità in questi 21 anni.
Da quel 23 maggio 1992 in cui Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montanaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani persero la vita nell’attentato su un tratto dell'autostrada A29 all'altezza di Capaci, le commemorazioni non sono mancate. Cortei, manifestazioni e iniziative in cui gente comune, personaggi pubblici, uomini dello Stato e delle istituzioni si sono riuniti per ricordare chi ha dato la vita per combattere la mafia.
Le ricorrenze hanno un carattere simbolico, importantissimo per le comunità, e hanno la funzione di tenere vivo il ricordo. Un Paese ha bisogno di ricordare i propri “eroi”, deve la sua stessa formazione culturale a certe personalità, ha il dovere di non dimenticarle.
Fin qui, quindi, tutto ok.
Il problema – che potremmo definire storico – è che su quelle stragi, non solo quella di Capaci ma anche quella di via D’Amelio, o su altri delitti, come gli omicidi di Peppino Impastato, Mino Pecorelli, Carlo Alberto Dalla Chiesa e tanti altri, non è ancora stata fatta chiarezza. Adesso che anche Giulio Andreotti è morto portandosi nella gobba parecchi segreti, la verità e la giustizia sembrano essere ancora più lontane. Delitti di mafia che, come si sa ormai da anni, sono anche delitti di Stato. Uno stato che ha intrecciato stretti rapporti con la mafia per anni, ma che nemmeno oggi offre un briciolo di verità certe e ufficiali.
Misteri e segreti che forse sono destinati a restare tali: è di questi giorni la notizia dell’agenda rossa di Borsellino avvistata in uno dei video sulla strage di via D’Amelio, e la relativa smentita.
Altro problema – non meno grave – è che alle parole sull’antimafia spesso corrispondono fatti e vicende slegati se non diametralmente opposti, rendendo quelle stesse parole, appunto, ipocrite e paradossali. Come la vicenda di quel “Giardino” da dedicare alla memoria di Falcone e le altre vittime della strage di Capaci, lungo l'autostrada, lì dove avvenne l'attentato, per tenere vivo e tangibile il ricordo. Progetto approvato e finanziato con duecentomila euro dall'amministrazione siciliana, che però non è masi stato realizzato per infiltrazioni mafiose. Paradossi tutti Italiani. Come la notizia di alcuni giorni fa sul tentativo del PDL di presentare un provvedimento di legge per dimezzare la pena sul concorso esterno in associazione mafiosa.
L’Italia però è un Paese che si crogiola nelle ricorrenze, e ormai per un italiano gli anniversari delle morti di Falcone e Borsellino sono come Natale e Pasqua per un cattolico. Gli italiani, almeno alcuni, nutrono la propria coscienza con l’eucarestia della lotta alla mafia per un giorno, e continuano la loro vita chiedendo o dispensando favori, sperando in raccomandazioni, facendo i furbi e vivendo in pieno spirito mafioso. Perché questo è il vero spirito mafioso, quello sanguinario ne è solo una parte, la mafia esiste sopratutto nelle parole e nei comportamenti di ogni giorno.
L’ultima strage di stampo mafioso è di vent’anni fa, e dal 2000 in poi le vittime della mafia – almeno quelle riconosciute come tali – sono state così “poche” rispetto all’ecatombe degli anni Novanta e Ottanta da far quasi pensare che la situazione sia migliorata rispetto al passato e che la mafia sia stata annientata. Così non è, ovviamente. E non lo sarà mai fin quando non si cambieranno le cose dal basso.
Per fortuna, c’è da dire che l’opera di persone come Falcone e Borsellino è servita e serve ancora come esempio, il loro sacrificio ha smosso migliaia di animi ed è risuonato nelle coscienze e nei comportamenti, nelle azioni, nei fatti, di chi si ribella giorno dopo giorno alla mentalità mafiosa, mettendo a repentaglio la propria vita pur di non piegarsi al pizzo, rifiutando di votare qualcuno per ottenere qualcosa in cambio, denunciando, sostenendo le vittime di soprusi, associandosi, facendo sensibilizzazione e promuovendo la cultura antimafiosa, come i ragazzi di AddioPizzo, RadioOut, il Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, il Movimento delle "agende rosse” ed altri ancora. Cose di un’enorme importanza, ma che da sole non bastano.
Uomini come Falcone e Borsellino sono stati determinanti per quello che hanno fatto in vita, e lo sono tutt’ora da morti, come modelli, come eroi. Perché è vero, gli eroi servono, ma come diceva Gesualdo Bufalino, “la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari”.