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L'importanza dell'aver cura: Luigina Mortari

  • Scritto da Luigi Citroni

Ricevere cura significa sentirsi accolti dagli altri nel mondo. Sentirsi parte di un contesto sociale che purtroppo vede troppi esclusi.

Che cosa si intende quando si parla delle pratiche dell’aver cura?

Ma soprattutto cosa significa aver cura di qualcuno?

Come al solito la risposta a domande simili può essere tanto banale quanto complicata. Non perché non sia

di facile accesso a chiunque, ma perché la sua banalità spesso ci spinge a darla per scontata e a non considerarla come accettabile.

Questo nostra superficialità ci spinge a ignorare il giusto valore da attribuire a domande di questo genere, e per questo motivo, qualora ci venissero poste, potremmo non essere in grado di rispondere. Concetto al limite del paradosso vero? Essere incapaci di poter dare una risposta semplice a domande semplici a causa della semplicità della risposta.

Eppure quest’esatto esempio di paradosso non è estraneo a molti aspetti della nostra quotidianità, ovvero l’impossibilità di dare rilevanza a un semplice gesto, o a qualsiasi altro tipo di interazione, proprio per la semplicità che lo caratterizza. Un gesto semplice, come quello racchiuso nelle pratiche dell’aver cura.

Aver cura, secondo il vocabolario Treccani, significa: “avere un interesse solerte per qualcuno o per qualcosa che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività”.

Niente di nuovo quindi.

Qualcosa che già sapevamo.

Un concetto che involontariamente ci spinge a riflettere e a considerare l’aver cura come atto imprescindibile dal nostro essere umani. Come tra le più attuali questioni inerenti alla pedagogia alla quale siamo legati più di quanto si possa pensare, a causa della nostra originaria precarietà, fragilità e limitatezza.

A causa della nostra finitudine e del nostro essere perennemente esposti all'infondatezza stessa dell’essere.

 

Proprio per questo è da considerare un aspetto fondamentale della nostra esistenza, soprattutto se si tiene conto del fatto che da essa dipende la possibilità che l’essere umano, vulnerabile ai pericoli e ai rischi del mondo, trovi la salvezza, sia in senso biologico che in senso esistenziale

Ricevere cura significa sentirsi accolti dagli altri nel mondo. Sentirsi parte di un contesto sociale che purtroppo vede troppi esclusi.

Ma in cosa risiede l’importanza dell’aver cura?

Prima di approfondire il discorso, è necessario dire che quando si parla di cura si intende cura di sé, dell’altro e del mondo circostante.

Detto ciò, Luigina Mortari, docente di pedagogia generale e sociale dell’università di Verona, ci dà una risposta esaustiva alla domanda dicendoci innanzitutto che la cura si profila nei termini di una pratica, cioè di un agire che implica precise disposizioni e che mira a precise finalità.

 

La cura è una pratica la cui caratteristica è quella di soddisfare i bisogni altrui, e per fare ciò, per riuscire a raggiungere questo scopo si dilata nel tempo, ovvero richiede un investimento di energie destinate a diluirsi nel corso di un’esistenza.

Nel momento in cui definiamo la cura in questi termini, è necessario sottolineare che concepirla solo come una pratica atta a soddisfare esclusivamente i bisogni dell’altro, sarebbe riduttivo, poiché tale definizione implicherebbe che l’altro sia costantemente in condizione di dipendenza da chi ha cura.

La cura intesa in senso pedagogico va oltre questa concezione, poiché il fine di quest’ultima è quello di mettere colui a cui sono rivolte le cure nella condizione di provvedere da sé ai propri bisogni, rendendolo capace di trovare il proprio spazio nel mondo. In questo senso può essere definita come una pratica che mira a procurare il bene nell’altro e allo stesso tempo metterlo nelle condizioni di provvedere al proprio benessere.

 

Queste riflessioni ci spingono a pensare l’aver cura come la base della pratica educativa per antonomasia. Come un autentico mettersi in relazione con l’altro. Come azione di compartecipazione con l’altro.

 

 

Niente di più necessario al giorno d’oggi.

 

In un mondo in cui si può far fatica a sviluppare un progetto di vita che abbia consistenza e dove trova spazio la difficoltà nata in chi non possiede le capacità necessarie per stare a galla, una categoria di persone che mai come ora hanno bisogno di cura: i giovani.

 

Essi non hanno bisogno della manipolazione di qualcuno che gli dica cosa fare, come fare e quando farlo, ma di un’attenzione particolare che possa garantire loro la libertà di scegliere il bene per la propria vita, che li spinga ad aver relazioni e ad acquisire la consapevolezza di cosa voglia significare essere in una relazione.

 

L’importanza delle pratiche dell’aver cura trova rilievo in circostanze del genere, ovvero in condizioni dove diventa necessario ripartire da capo.

Dalla cura dipende dunque la possibilità che l’uomo ha di realizzarsi liberamente secondo le sue possibilità. Che egli pervenga a se stesso, alla sua essenza di uomo. In parole povere che si umanizzi e attui il suo progetto di vivere la propria vita senza vincoli opprimenti.

 

Dietro una sconfortante realtà sempre più pressante esiste quindi qualcosa che può ancora restituire speranza a chi sembra essersi perso nel proprio inquieto vivere.

Questo qualcosa può essere concretamente espresso attraverso relazioni di carattere pedagogico, di mutuo aiuto, grazie alle quali i problemi del singolo in molti casi riescono a essere condivisi.

 

Tutto questo, è ciò che scaturisce dall'indispensabile e a volte drammatico bisogno di ascolto, e di trovare figure significative a cui rivolgersi.

Disattendere questo bisogno sfocia irrimediabilmente in ciò che purtroppo caratterizza in particolare le nuove generazioni, ovvero in disagi che spesso possono essere considerati di tipo patologico e che possono culminare nel peggiore dei modi.

 

In sostanza è possibile considerare la cura come pratica rivolta all’essere in quanto tale.

È questo il compito che si assume ogni individuo che entra a far parte dei processi educativi basati sul concetto e sulla pratica dell’aver cura, ovvero restituire senso a un’esistenza proiettata verso il futuro.

 

Di fronte a colui che ha deciso di considerare la vita come una situazione dalla quale è necessario scappare, solo la cura, intesa come ascolto, come dialogo, come apertura e condivisione, ma soprattutto come rispetto e riconoscimento dell’altro, può salvare dal sentirsi parte di un esistenza mancata.

 

 

Prestare attenzione a questi semplici significati può aver effetti molto più grandi di quanto ognuno di noi possa pensare.

Riuscire a non dare per scontata la banalità che incornicia alcune nostre azioni, alcune nostre interazioni, può voler dire essere partecipi di un grande processo che in qualche modo può rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.

 

Un’esistenza, inutile dirlo, per ognuno in maniera diversa, può essere complicata, opprimente e pesante, ma è composta così per tutti da tante piccole e semplici reciprocità che conferiscono senso a ciò che apparentemente può non averne.

 

Ed è proprio questa semplicità, questo aspetto così banale, che ci rende esseri umani.

 

 

Sarebbe un peccato continuare a dare tutto per scontato.

 

 

Luigi Citroni.