La violenza sulle donne è anche in sala parto
- Scritto da Effe_Pi
Un convegno a Roma affronta una forma di violenza spesso sottovalutata, quella che avviene durante la gravidanza o in sala parto.
Di Beatrice Luna
Una donna sta in sala parto così come viene vista nella società (Michael Odent)
Pochi giorni fa si è celebrata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Ormai è quasi un luogo comune parlarne e condannarla: sfugge però alla nostra coscienza collettiva che molte altre forme di violenza, più nascoste e meno evidenti, continuano in un’indifferenza pressoché totale a dilagare nella società. Un esempio è quello della violenza nel parto, di cui si è parlato in un incontro a Roma, alla Casa Internazionale delle donne, organizzato da Freedom for Birth, gruppo di azione che promuove la libertà di scelta e di autodeterminazione delle donne al parto e in gravidanza, su aborto e contraccezione.
Nella capitale si è quindi parlato di “antichi e nuovi rituali per il controllo e il disciplinamento del corpo della donna nel parto”, denunciando esplicitamente come i luoghi dove si nasce siano anch’essi teatro di violenza sulle donne; una forma diversa da quella inflitta nell’ambito familiare, con percosse, abusi, minacce, ma che viene considerata un po’ come succedeva a quest’ultima tanti anni fa, quando si minimizzava con il classico “che sarà mai, le avrà dato due schiaffetti”. Forse tra qualche anno anche le violenze durante parto e gravidanza, oggi considerate quasi normali, vedranno lo stesso livello di condanna sociale, ma è certo che oggi ancora non succede.
Una diversità di visione che risale probabilmente agli anni ’70, quando il movimento femminista si è battuto per l’aborto e l’autonomia della donna, senza avere però elaborato nulla sulla gravidanza e il parto. Come diceva Umberto Galimberti, l’affermazione dell’individualità delle donne “va’ da una parte e l’affermazione alla riproduzione dall’altra parte”. Sembra che la nostra società sia più interessata alla morte che alla nascita. La morte possiede maggiori opzioni: si può morire per una causa nobile, per se stessi, per dar vita ad una nazione. L’immagine della nascita non viene invece riconosciuta come un ambito di possibilità, perché si ritiene comunemente che il mettere al mondo non permetta di esprimere la propria individualità.
Obiettivo di Freedom for Birth è allora quello di restituire in toto la gravidanza e il parto alla donna, ricordando che al centro della visione sanitaria deve esserci il corpo, in questo caso sano ma che spesso può essere un corpo bisognoso di sostegno, cura, amore e pazienza, non solo di macchinari, medicine e protocolli da seguire. Quello che gli organizzatori dell’evento romano intendono rivendicare è “uno spazio di libertà nella gravidanza e nel parto” perché anche qui, come altrove, “non esiste un potere buono”, se non quello di chi gestisce direttamente la propria vita.