IL GIARDINO DEI SICOMORI | Capitolo 1
- Scritto da Luigi Citroni
Un thriller avvincente e dal ritmo serrato ambientato in Sardegna!
IL GIARDINO DEI SICOMORI
di Luigi Citroni
CAPITOLO I
-Buonasera piccolo smeraldo. Posso sedermi...? Hai dormito bene ieri notte? Shhhh…non dimenarti tesoro. Potresti farti del male. Non trovi?
-MMMMMH...MMMMMH!
-Capisco cosa vorresti dire. Ma ora devi solo fidarti di me. Finirà tutto molto presto.
Con un balzo del tutto privo di grazia, un’ombra si alzò da una sedia cigolante divorata dalle termiti.
Si allontanò zoppicando dalla ragazza imbavagliata e immobilizzata con funi e cavi elettrici, si fece largo tra le cianfrusaglie di uno scantinato umido e abbandonato, e trascinandosi dietro a fatica l’anca sinistra, in un attimo fu subito di ritorno con in mano una pesante ventiquattrore.
Si sedette nuovamente accanto a lei, e dopo aver sistemato la valigetta impolverata su un piccolo tavolino di legno disse: - Questo…sì questo è un regalo…per te…solo per te. Vuoi vedere cosa c’è dentro? Ah!! Ma quanto sei impaziente…devi rilassarti. Tempo al tempo mia cara – Dopo un grave sospiro proseguì dicendo: - Sai prima vorrei parlarti di me. Insomma conoscerci. Sei qui da quattro giorni ormai. Mi piacerebbe magari chiederti di uscire a cena insieme. Non sarebbe bello? Io e te in un ristorante, davanti a un buon vino. Una cenetta a lume di candela. Beh non sembra anche a te un’ottima idea? –
La ragazza terrorizzata ascoltò l’uomo seduto accanto a lei senza poter fare niente.
Lo osservava con la coda dell’occhio cercando di instaurare un minimo contatto visivo, ma allo stesso tempo atterrita dall’idea di poter incrociare lo sguardo con quell’enorme ammasso di carne.
Da quattro giorni il terrore la pervase da cima a fondo. Il suo corpo tremava instancabile come una corda di violino costantemente stuzzicata; l’umidità della cantina le trapassò il corpo e si fuse con le sue fragili ossa, percuotendole come se fossero i tamburi di un’orchestra.
In novantasei ore aveva dimenticato cosa volesse dire libertà. Essere in pace con se stessa e con il mondo circostante. Aveva dimenticato il sapore del cibo e la freschezza dell’acqua. Conosceva ormai solo la paura, la puzza dei suoi escrementi ammucchiati proprio sotto di lei e il sapore di pane ammuffito ammorbidito con acqua arrugginita.
Dopo qualche minuto l’uomo riprese: - Non mi hai ancora detto cosa ne pensi…sto aspettando una tua risposta. -
La povera donna imbavagliata si lasciò andare a un lamento straziato seguito da un pianto ininterrotto. Sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto le si sarebbe ritorta contro e per questo le lacrime scesero incontrollate lungo il suo viso.
- Fai ancora la difficile? – urlò l’uomo – dopo tutto quello che ho fatto per te, dopo tutto quello che ti ho detto, tu ancora mi tratti come un mostro? Aaah…ora ho capito qual è il problema. Credi che io sia un mostro? Sono troppo grasso per una stronzetta come te? Ah? Dimmelo puttana. –
In quel momento il pianto della donna si fece ancora più intenso, mentre un rivolo di urina prese a scendere lungo la sua coscia.
- Oh no…scusa ti ho spaventata – disse l’uomo con tono sconsolato -Non volevo. Non volevo. Non volevo. Non volevo – urlò prima di lasciarsi andare a un lamento isterico.
Pochi secondi dopo l’enorme bestia si asciugò qualche lacrima intrappolata tra le ciglia, si alzò dalla sedia, uscì dalla penombra e per la prima volta mostrò il suo viso alla ragazza, la quale rimase impietrita. Paralizzata dalla paura.
La fissò a lungo prima di parlare, mentre con la mano le accarezzava le gambe nude.
- Sai in fondo abbiamo molto in comune. Anche io sono stato prigioniero. Le vedi queste cicatrici? Non ne ho solo in viso, ma anche in tutto resto del corpo. Me le hanno fatte persone che mi volevano male. Ho pregato che smettessero, che mi lasciassero in pace ma non l’hanno fatto. Alla fine li ho uccisi. Sì. Tutti. Ma io non sono come loro vedi? Il tuo viso è ancora bello come il primo giorno in cui ti ho vista. Questo vuol dire qualcosa. Vuol dire che fra me e te ci può essere intesa. Un sentimento che va oltre l’amicizia sì? – Bisbigliò l’uomo.
I due erano molto vicini. La giovane donna sentiva il pesante respiro dell’uomo sulla sua pelle. Sentiva la puzza mascherata da un pungente e disgustoso aroma di dopobarba, e le sue mani ruvide fare avanti e indietro lungo la coscia. Infine sentì le labbra poggiarsi sul suo volto, e in un attimo con uno scatto repentino, segnò nuovamente una netta distanza tra loro.
- Sei uguale a tutte le altre puttane- disse lui -un uomo apre il proprio cuore a i suoi sentimenti e cosa trova davanti a sé? L’ennesima troia. Ma non ti preoccupare. Qua c’è il tuo regalo- concluse accarezzando la valigetta impolverata.
- Ancora un po’ e non potrai far altro che gioire. Ma prima devi respirare da questo panno- disse avvicinando una pezza umida al muso della donna.
Immobilizzò la testa e il corpo in preda a spasmi di terrore con la sua imponente massa e infine le schiacciò contro il naso lo straccio sporco e imbevuto di cloroformio.
- Oh sì è più bello quando ti agiti. Sei così dolce. Mi ricordi mia moglie- disse sogghignando.
Tempo due minuti e la donna abbandonò ogni forma di resistenza lasciando un corpo semi nudo sbragato sulla sedia, con la testa a penzoloni rivolta verso il grembo.
Intanto, fuori di lì, il nulla assoluto faceva da testimone.
La pioggia scendeva prepotente sulla terra arida, piegando le punte dei pini posti intorno a un abitazione fatiscente. Da qualche ora il sole aveva lasciato il posto all’oscurità della notte, e nubi elettriche andavano a coprire ogni fonte di luce celeste, rendendo il cielo ancor più cupo e carico di lampi.
L’uomo tagliò le funi e i cavi stretti intorno alla ragazza. Le tolse il bavaglio e poi senza alcuno sforzo se la caricò in spalla e uscì dallo scantinato con stretta in mano la sua ventiquattrore.
Dopo aver percorso un rampa di scale, attraversò uno stretto corridoio che lo condusse in un garage dove una vecchia Ford lo stava aspettando.
Caricò la donna nel bagagliaio, e in un attimo fu fuori, percorrendo un vialetto fangoso a tutta velocità.
Dopo mezz’ora di marcia la macchina si fermò di scatto pattinando sull’asfalto bagnato.
L’uomo scese, prese la donna ancora priva di sensi, e con in mano la sua valigetta, percorse qualche centinaio di metri facendosi largo dentro un fitto bosco.
Arrivò così in una piccola radura dove un unico grosso tronco sovrastava su una vegetazione glabra e bruciata dal freddo.
Legò con cura la donna. Le braccia tese sopra la testa e le gambe arcuate intorno al ceppo.
Completamente nuda.
Dalla tasca tirò fuori un ulteriore panno impregnato di candeggina, lo fece annusare alla vittima e d’un tratto la donna rinvenne, lanciando un urlò di terrore. In poco tempo si rese conto di essere ancora più immobile di prima; nuda; legata a un albero nel bel mezzo di una foresta sotto una pioggia torrenziale.
- Aiuto! – gridò – Qualcuno mi aiuti vi prego.
- Che banalità- rispose l’uomo - gridare aiuto nel bel mezzo di un bosco a quest’ora della notte. Suvvia risparmia il fiato. Nessuno potrà mai sentirti.
- Ti prego lasciami andare- singhiozzò la donna – farò tutto quello che vuoi, ti scongiuro!
- Beh…avresti potuto accettare il mio invito tanto per iniziare, ma non l’hai fatto, quindi…che dire ti sei già giocata la tua opportunità. – disse trattenendo a stento una macabra risata – scherzo! Sto scherzando bellezza. Sappi che non ho nulla contro di te, non me la sono presa… E ora dulcis in fundo è giunto il momento di darti il mio regalo. - disse
Con cura aprì così la ventiquattrore, e da dentro tirò fuori un coltello dalla lama sottile come un capello. Sotto la pioggia insistente l’uomo osservò stupefatto la lucentezza di quel gelido ferro acuminato, mentre pian piano si avvicinava alla vittima.
La donna continuava a implorare pietà e perdono per qualsiasi cosa avesse mai fatto, ma l’uomo non ascoltava.
Il suo viso d’un tratto si incupì. Come se in quell’istante avesse indossato una solenne maschera per il sacrificio che avrebbe dovuto compiere.
- Ti prego… perché?- Chiese la donna in lacrime
- Perché nessuno è innocente- rispose laconicamente l’uomo.
In un istante posò il coltello su un soffice collo femminile e con delicatezza recise ogni vena.
Subito dopo rimise l’arma dentro la valigia, e claudicante andò via lasciando dietro di sé una donna morire in silenzio soffocando nel suo stesso sangue.
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Foto: Pixabay | Tama66 | CC0