Il giorno del giudizio di Salvatore Satta
- Scritto da Effe_E
Quando apparve nel 1977, dopo la morte del suo autore, Il giorno del giudizio fu salutato come l’opera più importante della narrativa sarda novecentesca, ma il suo spessore travalica l’ambito locale.
Incipit
Don Sebastiano Sanna Carboni, alle nove in punto, come tutte le sere, spinse indietro la poltrona, piegò accuratamente il giornale che aveva letto fino all'ultima riga, riassettò le piccole cose sulla scrivania, e si apprestò a scendere al piano terreno, nella modesta stanza che era da pranzo, di soggiorno, di studio per la nidiata dei figli, ed era l'unica viva nella grande casa, anche perché l'unica riscaldata da un vecchio caminetto.
Don Sebastiano era nobile, se è vero che Carlo Quinto aveva distribuito titoli di piccola nobiltà agli autoctoni sardi che avevano innestato gli olivastri nelle loro campagne (la grande nobiltà con tanto di predicato era quasi tutta cagliaritana, ed era praticamente straniera all'isola): ma il doppio cognome era solo un'apparenza, altro non essendo il Carboni che il nome della madre, aggiunto al Sanna, il vero e unica nome di famiglia, un poco per l'usanza spagnola, un poco per la necessità di distinguere le persone, nella poca varietà dei nomi determinata dalla scarsa popolazione. Ogni bifolco in Sardegna ha due cognomi, anche se poi sull'uno e sull'altro prevale di solito un soprannome, che, se la fortuna aiuta, diventa il contrassegno temuto di una pastorale dinastia. Tipico esempio i Corrales. Il tempo e la necessità han finito col dare una certa legittimità al doppio cognome, e infatti «Sebastiano Sanna Carboni» circoscriveva in lettere tonde lo stemma sabaudo nel timbro ufficiale d'ottone, che Don Sebastiano chiudeva ogni sera gelosamente in un cassetto della scrivania. Poiché Don Sebastiano era notaio; notaio nel capoluogo di Nuoro.
Chi fosse poi questa Carboni che aveva lasciato il suo nome in un timbro, nessuno avrebbe potuto dire. La madre di Don Sebastiano doveva essere morta presto, e nulla è più eterno, a Nuoro, nulla più effimero della morte. Quando muore qualcuno è come se muoia tutto il paese. Dalla cattedrale - la chiesa di Santa Maria, alta sul colle - calano sui 7051 abitanti registrati nell'ultimo censimento i rintocchi che danno notizia che uno di essi è passato: nove per gli uomini, sette per le donne, più lenti per i notabili (non si sa se a giudizio del campanaro o a tariffa dei preti: ma un povero che si fa fare su toccu pasau, il rintocco lento, è poco men che uno scandalo). L'indomani, tutto il paese si snoda dietro la bara, con un prete davanti, tre preti, l'intero capitolo (poiché Nuoro è sede di un vescovo), il primo frettoloso e gratuito, gli altri con due, tre, quattro soste prima del camposanto, quante uno ne chiede, e veramente l'ala della morte posa sulle casette basse, sui rari e recenti palazzi. Poi, quando l'ultima palata ha concluso la scena, il morto è morto sul serio, e anche il ricordo scompare. Rimane la croce sulla fossa, ma quella è affar suo. E infatti nel cimitero, meglio nel camposanto dominato da una rupe che sembra una parca, non c'è una cappella, un monumento. (Oggi non è più così: da quando la morte ha cessato di esistere è tutto pieno di tombe di famiglia: sa 'e Manca, quella di Manca, come si chiamava, credo dal nome del proprietario anticamente espropriato, è diventata oltre le costose muraglie, oltre gli assurdi colonnati, la continuazione della città imborghesita). E così questa Carboni si era dissolta nel nulla, nonostante i cinque figli che aveva messo al mondo, e di lei non ricordavano neppure il nome di battesimo, protesi com'erano ciascuno nell'avventura della propria vita. Del resto, oltre questa faticosa avventura, erano vivi essi stessi, sentivano come vive le persone che il destino aveva legato al loro carro, mogli, figli, servi, parenti?
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Quando apparve nel 1977, dopo la morte del suo autore, Il giorno del giudizio fu salutato come l’opera più importante della narrativa sarda novecentesca, ma il suo spessore travalica l’ambito locale. Ambiente, personaggi, protagonista, tutto concorre a costruire un’atmosfera sospesa che trasfigura Nuoro e i suoi abitanti in un microcosmo senza tempo, dove passato e presente si fondono sino a perdere i propri confini.
SALVATORE SATTA (Nuoro 1902 – Roma 1975) dopo aver frequentato il liceo a Sassari, ottenne la laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e si trasferì a Milano per esercitare il tirocinio di avvocato. Nel 1928 vinse il Premio Viareggio con La veranda. A partire dagli anni ’30 iniziò la sua carriera accademica come Professore in varie università italiane. Nel 1939 sposò Laura Boschian, con la quale ebbe due figli e si trasferì prima a Genova, poi a Roma. Durante gli anni della guerra pubblicò Teoria e pratica del processo, Guida pratica per il nuovo processo civile italiano e Istituzioni di diritto fallimentare, mentre ai decenni ’60 e ’70 risalgono opere monumentali quali Commentario al codice di procedura civile, Soliloqui e colloqui di un giurista. Nel 1970 ebbe inizio invece la stesura de Il giorno del giudizio, pubblicato postumo nel 1977 e tradotto in ben 16 lingue.