Cosa è Sa die de sa Sardigna
Sa die de sa Sardigna è una giornata di festività istituita dalla Regionale Sardegna nel 1993 nominandola Giornata del popolo sardo.
Sa die de sa Sardigna
Sa Die de sa Sardigna | |
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Tipo di festa | regionale |
Data | 28 aprile |
Celebrata in | Sardegna |
Oggetto della celebrazione | Cacciata dei funzionari piemontesi e presa del potere da parte degli Stamenti durante i vespri sardi. |
Data d'istituzione | 1993 |
Altri nomi | Giornata del popolo sardo |
Sa die de sa Sardigna (in sassarese La dì di la Sardhigna, in gallurese La dì di la Saldigna, in algherese lo dia de la Sardenya e in italiano Il giorno della Sardegna) è una giornata di festività istituita dal Consiglio regionale della Sardegna con la Legge Regionale 14 settembre 1993, n. 44[1], nominandola Giornata del popolo sardo.
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La festività vuole ricordare la sommossa dei vespri sardi del 28 aprile 1794 che costrinse alla fuga da Cagliari il viceré Vincenzo Balbiano e i funzionari sabaudi, in seguito al rifiuto di soddisfare le richieste dell'allora Regno di Sardegna per riservare ai sardi le cariche pubbliche, un Consiglio di Stato a Cagliari, vicino alla sede del viceré e l'istituzione a Torino di un Ministero per gli affari della Sardegna. Rientrata la rivolta, alcune richieste furono accolte nel 1796.
In occasione della festività, diversamente dalla festa del santo patrono, gli uffici pubblici dell'isola rimangono aperti, mentre chiudono le scuole.
Storia
Serpeggiando sempre più il malcontento nei confronti dell'amministrazione piemontese[2][3], nelle ultime decadi del Settecento si creò un movimento di ribellione che attraversò tutta l'isola, in prossimità con gli eventi rivoluzionari francesi e i fermenti sorti in varie parti d'Europa (Irlanda, Polonia, Belgio, Ungheria, Tirolo). Nel 1793 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell'isola lungo due linee, l'una nel Cagliaritano[4] e l'altra nei pressi dell'arcipelago della Maddalena, guidata dall'allora giovane ufficiale Napoleone Bonaparte[5], riparato in Francia continentale in seguito all'insurrezione paolina appoggiata dagli inglesi. I Sardi opposerò però resistenza e, riuscendo a sventare tale piano, cominciò a montare nell'opinione pubblica un sentimento di rivalsa nei confronti della Corona sabauda per la difesa del Regno.
I Sardi chieserò così che fosse loro riservata gran parte degli impieghi civili e militari e un'autonomia maggiore rispetto alle decisioni della classe dirigente locale[6]. Al perentorio rifiuto da parte del governo piemontese di accogliere qualsiasi richiesta[7], la borghesia cittadina organizzò così con l'aiuto del resto della popolazione il moto insurrezionale.
L'episodio finale che condusse alla contestazione fu l'arresto ordinato dal viceré di due capi del cosiddetto "partito patriottico", gli avvocati cagliaritani Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Il 28 aprile del 1794 (data nota come sa dii de s'aciappa[8], ossia "il giorno della cattura") la popolazione inferocita allontanò dalla città tutti i 514 funzionari continentali, compreso il viceré Balbiano, che nel mese di maggio di quell'anno furono imbarcati con la forza e cacciati via dall'isola. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, le popolazioni di Alghero e Sassari fecero altrettanto. I moti antifeudali furono successivamente guidati per altri due anni da Giovanni Maria Angioy, alto magistrato del Regno di Sardegna, salvo essere alla fine repressi dalle forze lealiste, ingrossatesi in seguito alla stipulazione del trattato di pace sottoscritto da Napoleone e Vittorio Amedeo III. L'esperimento rivoluzionario sardo giunse così al termine, e l'isola rimase sotto la giurisdizione sabauda[9].
Note
- ^ Legge Regionale 14 settembre 1993, n. 44
- ^ <<L'avversione della Nazione Sarda contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d'Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias. L'arroganza e lo sprezzo con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili e irritanti epiteti e soprattutto l'usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione.>> Tommaso Napoli, Relazione ragionata della sollevazione di Cagliari e del Regno di Sardegna contro i Piemontesi
- ^ <<L'avversione contro i Piemontesi non era ormai una questione di impieghi, come già durante l'ultimo periodo della signoria spagnola e come hanno fatto credere i dispacci del viceré Balbiano e la richiesta degli stamenti. I sardi volevano liberarsene non solo perché essi simboleggiavano un dominio anacronistico, avverso all'autonomia e contrario allo stesso progresso dell'Isola ma pure e forse soprattutto, per esserne ormai insopportabile l'alterigia e la sprezzante invadenza.>> Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Editore Mursia, Milano, 1971, pp.793
- ^ Tommaso Napoli, Relazione di quanto è avvenuto dalla comparsa della flotta francese in Cagliari sino alla totale ritirata di essa nel 1793/94
- ^ La Maddalena, 22/25 February 1793, Military Subjects
- ^ Scrive Girolamo Sotgiu in merito alla stretta dipendenza politica e burocratica del viceré rispetto allo stato centrale, imposta attraverso precise istruzioni: <<Le istruzioni non tracciavano un indirizzo generale di governo al quale attenersi negli affari dell'isola, ma fissavano, con minuziosa pedanteria, compiti e incombenze, che facevano del viceré un burocrate esecutore di ordini al quale veniva rigorosamente delimitata, per non dire vietata, la possibilità di un'autonoma iniziativa. Il viceré non aveva cioè una funzione politica da assolvere, ma compiti burocratici da espletare. Tutto il potere era concentrato a Torino e il viceré era un semplice missus dominici, al quale non era consentito di andare oltre disposizioni assai rigide. Perché la funzione viceregia fosse ulteriormente appiattita, le prerogative venivano diminuite rispetto a quelle dei viceré spagnoli, anche se, per prudenza, di questo fatto non era data pubblica cognizione.>> Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna sabauda, Editore La Terza, Roma-Bari, 1984, pp.25
- ^ <<Il significato fu chiaro: più che un'umiliazione ai membri degli stamenti, doveva considerarsi un monito per i sardi, ai quali non era concesso di chiedere più di quanto ricevevano dall'iniziativa del sovrano e cioè nulla.>> Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Editore Mursia, Milano, 1971, pp.793
- ^ Sa dì de s´acciappa - Dramma storico in due tempi e sette quadri, Piero Marcialis, 1996, Condaghes
- ^ De La Calle, Luis (2015). Nationalist violence in postware Europe, pp.188, Cambridge
Bibliografia
- Anonimo (presumibilmente Michele Obino). L'Achille della sarda liberazione, 1796.
- Lorenzo del Piano, Salvatore Frassu e i moti rivoluzionari della fine del '700 a Bono, Chiarella, 1989.
- Alberto Loni e Giuliano Carta. Sa die de sa Sardigna - Storia di una giornata gloriosa. Sassari, Isola editrice, 2003.
- Girolamo Sotgiu. L'insurrezione di Cagliari del 28 aprile 1794, Agorà, 2005.
- Massimo Pistis, Rivoluzionari in sottana. Ales sotto il vescovado di mons. Michele Aymerich, Roma, Albatros Il Filo, 2009.
- Adriano Bomboi, L'indipendentismo sardo. Le ragioni, la storia, i protagonisti, Cagliari, Condaghes, 2014.
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