A teatro Fausto e Iaio raccontano l'Italia
- Scritto da Effe_Pi
Il lavoro del regista argentino César Brie riprende l'omicidio di due giovanissimi militanti negli anni '70 per raccontare la tragedia degli anni di piombo.
Può una storia collettiva e tragica come quella italiana essere riassunta e spiegata da un solo episodio? Sembra di sì, a vedere lo spettacolo “Viva l’Italia”, in scena in questi giorni al Teatro India di Roma, scritto da Roberto Scarpetti per la regia dell’argentino César Brie. Un racconto per cinque monologhi, che riprende la storia di uno dei tanti omicidi “politici” (duplice stavolta) irrisolti della nostra storia, quello dei giovanissimi militanti del centro sociale milanese Leoncavallo Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci) uccisi il 18 marzo 1978, appena due giorni dopo il sequestro di Aldo Moro. Ma quella che raccontano Scarpetti e Brie, in un intreccio via via sempre più drammatico e doloroso, è la storia d’Italia o almeno una sua fetta, quella rimossa, distorta e ancora parzialmente sconosciuta dei cosiddetti anni di piombo, gli anni ’70 della strategia della tensione.
Lo fanno con cinque personaggi (più pochi altri di contorno), utilizzando un pugno di bravissimi attori che estendono lo sguardo su tutta la tragedia di quel decennio italiano, fino al culmine della strage alla stazione di Bologna, il 2 agosto del 1980, che ha chiuso nel modo peggiore un decennio di sangue. Si va dalla madre di una delle vittime, che attribuisce alla politica la colpa della morte del figlio, con il suo “meglio non impicciarsi” che rappresenta in qualche modo il riflusso che ha attraversato il paese dopo la morte di Moro, al giornalista tanto curioso da scoprire verità pericolose che non potrà mai rivelare, fino al poliziotto onesto e disincantato che forse ha scoperto la pista giusta, ma viene anche lui fermato. Sullo sfondo la figura di Fausto, che anche dopo la sua morte continua ad aleggiare sulla scena con la camicia insanguinata, e la violenza di un fascismo armato pronto ad uccidere per puro odio, chiaramente manipolato e strumentalizzato da altre forze oscure, come dimostra il personaggio dell’assassino che uccide per un’ideologia che a malapena conosce persone di cui non sa assolutamente niente.
È drammatica la telefonata originale, andata in onda all’epoca su Radio Popolare, in cui la madre di Fausto chiede di essere aiutata a trovare i colpevoli, perché vuole “farsi giustizia da sola”, ma lo è ancora di più leggere che il processo è stato archiviato nel 2000 (22 anni dopo i fatti) e che i tre presunti assassini sono ancora vivi e tutti in libertà. È drammatico e angosciante, per quanto tanti italiani ne siano a conoscenza, sapere che per oltre un decennio in questo paese è esistita una strategia mirata e programmata dall’alto, fatta di stragi e omicidi, e che gran parte dei suoi responsabili, materiali e politici, non hanno pagato in nessun modo. Viva l’Italia rende benissimo questa sensazione, tanto che gli spettatori escono dal teatro con gli occhi lucidi se non addirittura pieni di lacrime, e la sensazione è tanto più forte per contrasto con l’ironia e il tono quasi divertito, a tratti, del racconto di Brie, la messinscena essenziale quanto potente nella sua meccanica sospesa tra fumetto e teatro dei pupi. Il fatto che questa ricostruzione, a livello visivo così spietata, non venga da un italiano è indicativo, come se la censura e la rimozione operate su un intero decennio abbiano colpito solo i nati nel “belpaese” e non gli osservatori esterni, che continuano a vedere appieno la tragedia che chi è troppo vicino sembra non percepire davvero, se non dal suo punto di vista personale e di fazione.