Morte di una ragazza: la storia di Giorgiana Masi
- Scritto da Effe_Pi
Uno dei tanti misteri italiani è quello della giovanissima morta il 12 maggio del 1977 durante una manifestazione in piazza, uccisa da una pallottola vagante.
Di Serpico
“Ciao mamma, non ti preoccupare, non succederà nulla, sarà una giornata di festa. Canteremo e festeggeremo, se scoppiano incidenti mi metto al riparo come le altre volte”. La bacia ed esce.
Sarà ultima volta che Giorgiana vedrà la madre e l’ultimo giorno della sua breve vita.
Giorgiana abitava a Roma nelle parti di via Trionfale, con la madre casalinga, il padre parrucchiere e una sorella.
E’ il 12 maggio del 1977, in Italia si respira aria di guerra civile, tra attentati, scontri per le piazze e le università, le forze dell’ordine con a capo Francesco Cossiga, ministro degli interni, sono pronte e decise a colpire. Il livello di scontro è ormai alto e la violenza dilaga praticamente ovunque.
Un vortice che sembra non aver fine, un anno dopo infatti avverrà il drammatico sequestro e uccisione del leader DC Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Una vicenda che ancora oggi presenta tante ombre.
Quel giorno a Roma i radicali organizzano una manifestazione (non autorizzata visto il divieto di manifestare per un mese nella Capitale per motivi di ordine pubblico) per l'anniversario del referendum sul divorzio. Parteciperanno tanti giovani e studenti e pure Giorgiana è tra loro.
Frequentava il liceo Pasteur e all’interno della scuola animava un collettivo femminile, distribuiva il giornale Lotta Continua. Non una estremista, né una militante inquadrata ma una giovane idealista, come tante, che credeva nei valori e nelle lotte di quei tempi.
Quel giorno scoppiarono tafferugli tra i manifestanti e le forse dell’ordine. Appare subito chiaro che tra i due schieramenti sono annidati provocatori che hanno l’interesse ad alimentare disordini in un clima già incandescente.
La polizia è schierata in assetto anti sommossa ma è fuor di dubbio che fosse fitta la presenza di agenti in borghese, vestiti “da autonomi” con le armi con il colpo in canna.
Uno di questi colpi, partito da una pistola calibro 22 colpisce Giorgiana alla schiena che si accascia tra le braccia amiche del fidanzato e dei compagni.
Gli amici con lei pensano che sia inciampata nel fuggi-fuggi generale. Oppure si pensa sia stata colta da svenimento o da un attacco epilettico. Portata in ospedale dopo una folle corsa in auto, spirerà di lì a poco.
La morte di Giorgiana è avvolta dal mistero come tante, a partire dalla strage neofascista di Piazza Fontana a Milano, del 12 dicembre 1969. L’inizio della strategia della tensione che minerà per anni le fragili e traballanti fondamenta dello Stato Italiano.
L'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga, inviso ai movimenti e gruppi extraparlamentari per la sua compromissione con i settori più oltranzisti dei servizi segreti, fu coinvolto in aspre polemiche per l'inadeguata gestione dell'ordine pubblico.
“L’aria pesante di morte”, secondo il leader radicale Marco Pannella, si respirava già da giorni. Una morte annunciata! Seguendo le dinamiche degli eventi e anche delle fatalità descritte da Gabriel Garcia Marquez nel suo bel romanzo.
Alcune foto ritraggono agenti armati in borghese mimetizzati tra i manifestanti che, secondo alcune testimonianze, sparavano ad altezza d’uomo.
Legittimo, soprattutto dopo la morte di una ragazza, chiedersi chi avesse autorizzato la massiccia presenza di poliziotti in borghese e soprattutto a che scopo?
Da chi era stata autorizzata la loro presenza che comunque non sfuggì a tanti manifestanti e giornalisti? Da che reparti provenivano gli agenti? Digos? Antirapine? O addirittura vi erano presenti uomini dei reparti inquadrati nei servizi segreti?
Cossiga, dall’alto dal ruolo ricoperto, con forza e veemenza dichiarerà che avrebbe rassegnato le dimissioni qualora fossero emerse le prove che fosse stata la polizia a sparare.
Tano D’Amico fotograferà l’agente Giovanni Santoni mentre corre con una pistola in pugno.
Le principali ipotesi formulate durante le indagini saranno due: Cossiga sostenne che il colpo fosse partito dalla pistola di uno dei membri del gruppo Autonomia Operaia che si era unito alla manifestazione, mentre da più parti si sosterrà che a sparare fosse stato uno degli agenti delle forze dell’ordine in borghese.
Naturalmente le tesi di Cossiga vennero immediatamente rigettate dai Radicali e da Marco Pannella.
Appare chiaro sin da subito che la gravità del fatto, la morte di una ragazza innocente, fosse destinato a rimanere l’ennesimo mistero senza soluzione. Senza verità e senza colpevoli.
Infatti, l’inchiesta venne chiusa pochi anni dopo, il 9 maggio del 1981, per l’impossibilità di procedere. Da lì in poi si susseguirono altre ipotesi e insinuazioni che non portarono mai a nulla di concreto.
Persino il mostro del Circeo, Angelo Izzo, neofascista e mitomane, cercò attraverso dichiarazioni poi dimostratesi assolutamente infondate di creare “confusione” nella già nebulosa vicenda, affermando che a sparare ed uccidere la povera Giorgiana fosse stato Andrea Ghira, altro neofascista autore del massacro del Circeo.
A quarantacinque anni dalla assurda morte di una ragazza, colpevole di trovarsi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, nessuna verità è emersa per far luce in uno dei tanti episodi che hanno contraddistinto la storia recente del nostro paese.
Una dinamica dei fatti assai semplice (a confronto di altre) ma nonostante questo è stato decretato che gli assassini non abbiano un volto.
A cento anni dalla nascita di Pier Paolo Pasolini, scrittore scomodo e pensatore libero, potremmo citare il suo “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi ma so chi sono i colpevoli”
Vale anche per Giorgiana Masi!