In Grecia il primo golpe dell'Eurofinanza
- Scritto da Effe_Pi
Nel weekend strangolato il governo ellenico: vendetta dei tedeschi e loro alleati dopo la sconfitta nel referendum, Tsipras a un passo dall'abbandono, la Grecia diventa un protettorato della Turboausterity.
Nel 21esimo secolo, le guerre tra gli Stati, specie quelli storicamente più guerrafondai e colonialisti (vedi Europa e Stati Uniti) non si combattono più, se non in minima parte, con gli eserciti: o meglio, si fanno guerre “tradizionali” contro stati terzi del “terzo” mondo (Libia, Iraq, Afghanistan) ma non si combatte mai frontalmente all’interno, ad esempio, dell’Eurozona. Per questo tipo di scontri, si utilizzano ormai strumenti come il web e gli hacker, oppure ancor meglio l’economia e la finanza. L’esempio più evidente si ha guardando a quello che succede in Grecia, dove lo scorso weekend si è probabilmente consumato il primo colpo di stato finanziario d’Europa, compiuto dai rappresentanti dei governi economicamente più forti nei confronti del paese ellenico. Il governo guidato da Alexis Tsipras, eletto lo scorso gennaio per porre fine all’austerità che ha devastato la vita di larghe parti della società greca, è da subito stato considerato un’anomalia da eliminare, per la Germania e i suoi alleati sulla linea della turbo-austerità (Finlandia, Olanda, Paesi baltici).
Tutto quello che è stato fatto negli ultimi mesi, in sede di trattativa, fino alla stretta sulla liquidità che ha portato ormai da dieci giorni alla chiusura delle banche greche, ha avuto come unico obiettivo l’umiliazione del paese e la caduta del governo di sinistra, vale a dire ciò che tecnicamente si può definire un golpe. La vittoria di Tsipras nel referendum sull’”Oxi” alla proposta europea che avrebbe trasformato definitivamente la più antica democrazia del mondo in un protettorato della Germania, ha fatto precipitare la situazione, e come scritto dall’ormai ex ministro delle finanze ellenico Yanis Varoufakis, ha reso urgente per l’Eurogruppo umiliare la Grecia e far cadere Tsipras. Lo stesso Varoufakis, considerato un “falco”, vede infatti come un disastro economico l’uscita dall’euro del paese a queste condizioni, quando dice che sarebbe “l’equivalente di annunciare una grande svalutazione con più di 18 mesi di anticipo: una ricetta per liquidare tutto lo stock di capitale greco e trasferirlo all’estero con ogni mezzo disponibile”.
In queste condizioni, Tsipras ha presentato il suo piano alternativo a quello bocciato dal referendum, venendo subito accusato da sinistra di tradimento e di essersi calato le braghe, perfino da coloro (come molti esponenti del Partito democratico in Italia) che fino ad allora l’avevano accusato dell’esatto opposto, cioè essere un dogmatico estremista che conduceva al definitivo disastro il suo paese. In realtà, anche se Syriza (la coalizione di sinistra al governo in Grecia) ha riconosciuto che alcune delle proposte portate al tavolo erano contrarie al suo programma elettorale, c’erano tre aspetti che differenziavano il piano da quello bocciato il 5 luglio nelle urne. Il primo è che le misure di austerità contenute non dovevano essere realizzate in sette mesi ma in tre anni, il secondo che la proposta Tsipras era costituita principalmente da una riforma fiscale che aveva l’obiettivo di spostare i sacrifici dai redditi più bassi a quelli alti, e infine che era una proposta in ambito tutto europeo, che sostanzialmente escludeva il Fmi (Fondo monetario internazionale). Mentre la propaganda parlava della resa dei greci, il blocco con Germania, Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania e Olanda aveva capito benissimo che questo accordo sarebbe stato una vittoria di Tsipras, che oltretutto avrebbe preso tempo fino alle imminenti elezioni spagnole, irlandesi e portoghesi, che potrebbero portare nuovi alleati.
Per questo, l’inaccettabile controproposta tedesca (che al momento sembra essere stata accettata da Tsipras per evitare il disastro annunciato da Varoufakis, ma che porterà sicuramente a un cambio di governo – quindi un golpe sostanziale), dopo aver bollato il documento greco come “insufficiente” prevede dieci punti “aggiuntivi” (che abbiamo tradotto dall'articolo del giornale spagnolo CTXT):
1- Arrivare pienamente entro il 2018 all’obiettivo di un avanzo primario del 3,5% del Pil, seguendo un calendario annuale che deve essere concordato con le istituzioni europee.
2- Portare a termine una “ambiziosa riforma delle pensioni”, insieme a politiche specifiche per neutralizzare la sentenza della Corte costituzionale ellenica sulla riforma attuata nel 2012.
3- Riformare, liberalizzandolo, il commercio, inclusi i periodi di saldi, i prodotti farmaceutici, le concessioni per le farmacie, il latte e il pane.
4- Privatizzare la società elettrica nazionale.
5- Portare avanti una riforma del lavoro che intervenga sulla contrattazione collettiva, il diritto di sciopero e la facilitazione dei licenziamenti collettivi, con la salvaguardia della prima che è uno dei punti fondamentali del programma elettorale di Syriza.
6- Facilitare l’applicazione delle disposizioni del Trattato di stabilità sulla politica fiscale.
7- Adottare misure per rafforzare il settore finanziario.
8- Sviluppare un programma di privatizzazioni molto più ambizioso di quello presentato dal governo greco, creando un “gruppo di lavoro” con le istituzioni europee che ne garantisca l’attuazione.
9- Derogare alle leggi approvate nel 2015 “non concordate” con le istituzioni europee, vale a dire il piano umanitario approvato dal governo Tsipras per mitigare gli effetti della crisi sulle fasce più deboli della popolazione.
10- Applicare gli aspetti non ancora attuati previsti dai “salvataggi” precedenti.
Il tutto, con la clausola che in caso di mancato accordo, Grecia e Unione Europea inizieranno un “rapido negoziato” per un’uscita temporanea del paese ellenico dalla zona euro, con possibilità di “ristrutturazione del debito”. Proprio come accade nei protettorati, come fatto in passato in tutta l’America Latina, raccontato magistralmente da Eduardo Galeano: ora c’è solo da aspettare la caduta del governo Tsipras, il ritorno di un esecutivo “tecnico” che sostenga la proposta (probabilmente con dentro i pezzi più “moderati” di Syriza) e i prossimi successi elettorali dei nazisti di Alba Dorata, che magari riusciranno a formare un vero fronte comune, in nome dei muri contro i migranti e dell’uscita dall’euro, con l’Ungheria di Orban, la Francia della Le Pen e chissà quale altro paese che nel frattempo avrà eletto un governo di estrema destra. Governi di estrema destra che la Germania e i suoi alleati non considerano un’anomalia.