Baltimora brucia ma la rivoluzione non va in TV
- Scritto da Effe_Pi
Nuova rivolta negli USA dopo l'uccisione di un nero da parte della polizia, ma i dimostranti accusano i media: raccontare solo le violenze è una distorsione della realtà, esiste un forte movimento contro il razzismo in tutto il paese.
Nuova rivolta negli Stati Uniti, in particolare a Baltimora, dopo l’ennesima morte in circostanze poco chiare di un uomo di colore detenuto dalla polizia, Freddie Gray: le violenze hanno portato danneggiamenti gravi in molte zone della città, numerosi feriti e arresti. In Italia se ne parla in modo marginale e comunque solo per i “riots”, senza nessuna analisi sulle cause degli stessi e sul fatto che negli ultimi anni gli USA sembrano essere diventati uno dei paesi più “rivoluzionari” del mondo, almeno da Occupy Wall Street in poi. Ma la realtà che sta dietro gli scontri, che non riesce in nessun modo ad emergere, è che come già accaduto in altre città negli anni scorsi (ultima Ferguson nel 2014) oltre alle violenze esiste un vero e proprio movimento, interrazziale e molto partecipato, che si oppone alle violenze della polizia e si definisce come “il movimento dei diritti civili del 21esimo secolo”, paragonandosi alle marce di Selma e ad altri eventi “storici” degli anni ’60.
Una buona testimonianza, che può servire da spunto in un paese che ha visto morire in modo simile a Freddie Grey fin troppi italiani, da Federico Aldrovandi a Stefano Cucchi, è quelle fornita dalle colonne del quotidiano locale “Baltimore Sun” da una studentessa di liceo bianca, Leah Eliza Balter. Il suo contributo inizia con una citazione del poeta e musicista Gil Scott Heron, che recita “The revolution will not be televised (La rivoluzione non sarà teletrasmessa)”: un attacco significativo, per un articolo in cui la giovane racconta di come già sabato (prima delle violenze) abbia marciato insieme a migliaia di suoi concittadini nel tentativo di portare a Baltimora “giustizia, non violenza”. La giovane ha poi appreso lo stesso giorno, con un messaggio sul cellulare mentre iniziava il suo lavoro serale di babysitter, che la violenza era esplosa nel centro della città, sentendosi “impotente”. Una delusione che deriva soprattutto dal grande risalto dato dai media agli scontri, in contrapposizione alla scarsa visibilità delle proteste pacifiche che l’avevano preceduta, che porta la studentessa alla conclusione che la rivoluzione, appunto, non possa essere teletrasmessa.
La vera rivoluzione, infatti,prosegue il pezzo di Leah Eliza, è quella creata da migliaia di persone in tutta l’America, in piazza per solidarietà contro la brutalità della polizia. La vera rivoluzione, per la giovane, è fatta da “gente di razze diverse che marcia tutta insieme per le strade di Baltimora, a braccia conserte, cantando ‘All night, all day, we will fight for Freddie Gray (Tutta la notte, tutto il giorno, lotteremo per Freddie Gray)’”. La ragazza ricorda che i leader della protesta hanno chiesto esplicitamente la presenza di persone di “tutte le razze”, unica possibilità per un vero cambiamento, e che la rivoluzione ha bisogno “dei neri, dei bianchi, degli asiatici, degli ispanici – di tutti” e non a caso il coro che i dimostranti scandivano davanti al comune di Baltimora era “The people united will never be defeated (La gente unita non sarà mai sconfitta)”. La studentessa americana conclude andando oltre le violenze di questi giorni, e prevede che in futuro quando si ricorderà il 25 aprile 2015 i media ricorderanno solo le violenze, ma che questa è “una schifosa distorsione degli eventi”, e lei rivedrà invece l’immagine reale della giornata, con “le persone di tutte le origini, pacifiche, affrante, disgustate che marciano pacificamente attraverso Baltimora – dalle Gilmor Homes al comune fino alle Camden Yards – con il messaggio che la discriminazione razziale e la brutalità poliziesca non saranno tollerate per un minuto di più e che le vite dei neri contano, per tutti noi”.