La vedova scalza di Salvatore Niffoi
- Scritto da Effe_E
Con La vedova scalza Niffoi ha vinto il premio Campiello nel 2006. Il filo conduttore del libro è quello della vendetta; una vendetta liberatrice, purificatrice, salvifica.
Incipit
Me lo portarono a casa un mattino di giugno, spopolato e smembrato a colpi di scure come un maiale. Neanche una goccia di sangue gli era rimasta. Due lados che ad appezzarli non sarebbe bastato un gomitolo di spago nero, di quello catramoso che i calzolai usano per le tomaie dei cosinzos di vacchetta. Il cane girava intorno al nespolo e ringhiava impazzito dalla paura. Lo stesi sul tavolo di granito del cortile, quello che usavamo per le feste grandi, e lo lavai col getto della pompa. Le pispiriste incollate, grumi scuri nel concale, terra e paglia nelle costole, nella vrissura, mosche verdi dappertutto. Pthù! Maledetti siano quelli che gli hanno squarciato il petto per strappargli il cuore con le mani e prenderlo a calci come una palla di stracci! Micheddu, amore meu, che eri buono quanto il Gesù Bambino che svetta sulla cupola della chiesa de Su Rosario, questa balentia qualcuno la pagherà in sonanti, di leppa o pallettoni deve crepare chi ti ha sfregiato così. Su coro glielo sciacquai a parte, in acqua e aceto, poi lo avvolsi in carta oleata e glielo misi sotto il cuscino della bara. Ohi amoreddu meu adorau, già te l'hanno fatta bella a conzarti in questo modo! Che se li porti via la Mama del Sonno quelli che ti volevano male! Lo so che manco le bestie si lavano così, ma io a Micheddu non volevo che altre mani lo toccassero: mio era stato da vivo, mio restava da morto. Prima una metà poi l'altra, a mani nude e a forza di braccia, lo infilai dentro il baule e lo ricoprii con uno dei camisoni di tela di mannai Gantina. Era rigido come un tronco di sughera. A mettergli il vestito di velluto nero, con su grappette e la camicia buona, non faceva. Quelli che lo videro dissero che il lombo destro non era il suo perché l'occhio gli era diventato rosso porporino e lo teneva socchiuso, come per atzinnire alla morte.
Era un'estate mala. Sopra l'altopiano di Monte Leporittu un vento rovente inchiodava l'astore nel nido, il merlo tra i rovi, la colovra tra i giunchi. Il sole sembrava una palla di vetro incandescente, dove toccava bruciava. La campana della chiesa majore aveva iniziato a suonare il memento prima del canto del gallo. Quei battiti lenti e secchi li ricordo come stoccate nel petto. Tàn, tàn, tàn, tàn. Il rumore del bronzo si disperdeva nell'aria portando sempre più lontano l'anima di Micheddu. Il cane si era fermato e scavava col muso una buca nel terriccio delle rose peonie per nasconderci la testa. A Daliu, la nostra creatura, perché non vedesse quello che avevano fatto al babbo, lo prese in braccio tzia Brasiedda e lo portò a casa di parenti, nel vicinato di Sas Istajeras, Via, anima mia, via da questo sciù sciù di fardette e gambali. Via, che non devi respirare questo alito di morte che s'infila tra le nari e scende nei polmoni col suo odore dolciastro di prugne e mirto. Via dai miseri resti di tuo padre, che il ricordo potrebbe piagarti la memoria e farti ammacchiare prima del tempo.
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N. D. |
La vedova scalza di Salvatore Niffoi ha vinto il premio Campiello nel 2006.
Il filo conduttore del libro è quello della vendetta; una vendetta liberatrice, purificatrice, salvifica. Una vendetta che prende il posto della giustizia, intesa nel significato di giustizia “divina” e di giustizia terrena che rimane sullo sfondo ed è raffigurata con il volto autoritario e corrotto della legge.
I personaggi sono intensi, tragici, crudeli e si trascinano un destino ineluttabile, atteso, cercato, scritto nelle pietre. I luoghi sono intrisi di dolore e di sangue, tetri. Spazi chiusi che si aprono solo con le parole struggenti dell’amore e dell’ironia amara, che rimandano la morte.
La protagonista Mintonia ha sempre cercato l’amore del suo bandito Micheddu fin da quando era una bambina. Non ha potuto sottrarsi a ciò che la sorte le aveva riservato.
La Sardegna di Niffoi è un luogo da cui scappare, anche se non si può sfuggire al proprio destino. È una terra narrata in modo crudo, violento, carico di rancore e affetto. Un’isola arcaica e primitiva dove gli uomini e le donne sono al di là del bene e del male. Dove anche i santi sono dannati.