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Carnevali di Sardegna: S'Urtzu di Ula Tirso

  • Scritto da Gi_Ci

Il carnevale di Ula Tirso è una celebrazione complessa di cui è protagonista una canea d’inquietanti personaggi.

Pubblichiamo un estratto dal volume "Maschere e Carnevale in SARDEGNA" pubblicato dalla IMAGO Multimedia di Nuoro, che ci ha gentilmente concesso la possibilità di diffondere e valorizzare un'altro aspetto della ricchezza culturale della nostra Isola: il carnevale sardo e le sue maschere.

Uno degli obiettivi della nostra iniziativa editoriale è la valorizzazione e diffusione delle eccellenze sarde, siano esse culturali, tecnologiche, economiche e imprenditoriali, e la IMAGO Multimedia rientra certamente in una di queste categorie.


Animali e uomini confusi insieme, campanacci e pelli per un rito primordiale. Nel corteo di maschere oscure e tragiche il guardiano umilia la vittima: non fuggirà alla sua triste sorte e rinascerà per fare nuovo il mondo.

Urtzu di Ula Tirso | Foto: Franco Stefano Ruiu © Archivio Imago_multimedia

I personaggi

S’Urtzu: è rivestito con una pelle intera di cinghiale che ricopre la testa dell’uomo. Indossa pelli scure di montone o caprone e porta al collo un grosso campanaccio. Cela sotto le pelli un pezzo di sughero (sa zippa) che serve per proteggerlo dai colpi. Sul petto nasconde una vescica d’animale piena di vino. Ha il viso nero dalla fuliggine e sos gambales di cuoio.

Sos Domadores (i domatori) indossano gli abiti tipici del pastore: gambales e completo di velluto. Il viso è nascosto dalla fuliggine del sughero.

Sos Bardianos (i guardiani) indossano un ampio vestito d’orbace (su saccu ’e su pastore) che ne ricopre persino il capo. Hanno in mano un grosso bastone (sa mazzocca) che termina con una grossa radice, nodosa e arrotondata. Anche loro hanno il viso imbrattato di fuliggine e portano sos gambales.

Su Maschinganna, impersonato da un uomo dalla corporatura imponente, ricoperto da una pelle di caprone, comprendente testa e corna.

La rappresentazione

La celebrazione è caratterizzata da un corteo che percorre con frastuono le vie del paese. Le maschere bussano alle porte delle case per ricevere l’invito: s’Urtzu è costretto a restare fuori, imprigionato con corde e catene da sos Domadores. Gli viene offerto da bere sulla soglia perché se entrasse porterebbe s’iscomuniga e, con essa, sos dimonios.

Questa maschera tragica percorre le strade con il suo incedere cadenzato facendo risuonare il pesante campanaccio. Durante il tragitto cade sotto i colpi poderosi di sa mazzocca inferti da sos Bardianos. La sacca contenente il sangue-vino si spacca e rende fertile la terra.

A volte la caduta è il preludio alla sua morte: su Domadore invita allora il gruppo delle maschere a ballare intorno alla vittima. L’orgia è cadenzata dal suono di un organetto e da un corno soffiato più volte e a lungo.

Finita la danza s’Urtzu rinasce: il corteo prosegue il suo pellegrinaggio di casa in casa. L’unica maschera che, pur partecipando al corteo, rimane passiva durante il sacrificio de s’Urtzu è su Maschinganna.

Il significato

Ricostruire il vero significato del complesso carnevale di Ulà Tirso non è compito semplice. Pochi sono ancora gli studi su questa celebrazione coinvolgente, dal sapore misterioso e tribale. Secondo alcuni di questi l’origine è da cercare nei riti agrari di propiziazione legati ad ancestrali celebrazioni dionisiache.

S’Urztu è la vittima del carnevale, una maschera tragica mezzo uomo e mezzo animale, che è rappresentazione concreta e ideale del dio: sos Domadores e sos Bardianos cercano di impedire che si sottragga alla sua fine. È una figura temuta ma che allo stesso tempo ha il potere di allontanare le maledizioni e la siccità, propiziando la fertilità.

Sulla maschera de su Maschinganna aleggia una curiosa credenza: il periodo carnevalesco era un tempo durante il quale, ai giovani in età virile, era consentito trasgredire alle regole del buon senso e del pudore; corteggiamenti e avventure pericolose a volte lasciavano strascichi di gravidanze non desiderate. Per evitare drammi e scandali, e per il quieto vivere, la comunità trovò proprio in su Maschinganna il responsabile delle malefatte.

Foto: Carla Picciau e Bent72photo



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