Cinema, posto X fila Y: un sacchetto di biglie
- Scritto da Paolo_A
Due bambini ebrei in fuga nella Francia occupata dai nazisti. Una storia vibrante tratta dal romanzo autobiografico dello scrittore Joseph Joffo.
Parigi, 1941. Due fratelli ebrei, Joseph e Maurice Joffo, vivono la loro infanzia nella Francia appena occupata dai nazisti. Un giorno, a scuola, i due bambini sono costretti a portare sui loro vestiti la stella giudaica. Da un giorno all'altro per i compagni sono dei “diversi”. “Il tuo naso da ebreo!” – urla uno di loro a Joseph. “Cos'è che è cambiato nel mio naso da ieri?” – risponde lui. Le cose precipitano rapidamente e il padre, Roman, barbiere nel 18esimo arrondissement dice loro che debbono iniziare un lungo viaggio attraverso la Francia per sfuggire alla cattura. E non dovranno mai ammettere, per nessun motivo, di essere ebrei.
“Un sacchetto di biglie” (Un sac de billes) è tratto dal romanzo autobiografico di Joseph Joffo, pubblicato nel 1973 e tradotto in diciotto lingue, di cui esisteva già una versione cinematografica diretta da Jacques Doillon nel 1975. A più di quarant'anni di distanza, questo remake, racconta Joffo, intende “restituire verità” al rapporto tra padre e figli. Così i due ragazzi intraprenderanno un lungo viaggio fino a raggiungere la costa mediterranea di Nizza, occupata dai soldati italiani. Il regista canadese Christian Duguay (L'arte della guerra, Coco Chanel, Belle & Sébastien) attraverso la voce del più piccolo dei fratelli (Joseph, dieci anni) racconta paure, dolore e speranza riposti in questo viaggio per sfuggire agli orrori della guerra e ritornare per riabbracciare i propri genitori. Lo spettatore vive attraverso gli occhi dei due bambini la tragedia che sta a loro intorno, tra la caccia all'ebreo della Gestapo, i soldati francesi che applicano le leggi antisemite del governo Vichy, i medici ebrei spediti nei campi di concentramento e le esecuzioni sommarie di membri della resistenza.
Il film, raccontando in maniera diversa la guerra e la Shoah, prova anche a distaccarsi senza retorica da uno stereotipo abbastanza diffuso, e presente nel film del 1975, che riguarda l'indifferenza di tutta la Chiesa cattolica alla sorte degli ebrei. I sacerdoti che compaiono nel film corrispondono ad incontri realmente vissuti dai due ragazzi e le biglie, simbolo di un'infanzia messa alla prova, l'unico ed incrollabile ricordo che spinge i due ragazzi a non perdere mai la speranza di ricongiungersi alla propria famiglia.