Il disertore di Giuseppe Dessì
- Scritto da Effe_E
Il disertore è il romanzo attraverso il quale Dessì ha voluto esprimere il suo credo pacifista e antimilitarista.
Incipit
Quando si parlò e si discusse per la prima volta del monumento, Mariangela Eca non ne ebbe nemmeno sentore. I suoi due ragazzi erano morti da più di quattro anni, ma per lei era come se quel tempo non fosse passato.
Per tutti gli altri, a Cuadu, compresi coloro che avevano perduto un figlio, un nipote o il marito, la fine della guerra era già lontana: tanti e così profondi erano stati i mutamenti che anche in quella piccola città la guerra e il dopoguerra avevano portato. Mariangela no. Lei non si era accorta e non si accorgeva di ciò che avveniva nel mondo circostante, anzi le pareva che tutto fosse rimasto come quando i suoi figli si facevano uomini pascolando i loro branchi di capre nel bosco di Baddimanna e lavoravano il formaggio e la ricotta nel vecchio ovile. Cuadu, il mondo intero, fin dove lei poteva arrivare a immaginarselo, era sempre come quando loro due l’avevano lasciata a piangerli: e con lei il padre, ormai vecchio e inabile, e la moglie di Saverio, il maggiore.
Da allora tutto, per lei, tutto aveva cessato di avere importanza, all’infuori del ricordo. Anche se continuava a vivere giorno per giorno, a fare i soliti lavori, a portare da Baddimanna, come sempre, pesanti fasci di legna che vendeva per mezza pezza, cioè venticinque centesimi, come prima della guerra, solo il ricordo contava, e nel ricordo il mondo restava come quando i due giovani, lavorando ormai in proprio, cominciavano a farsi una nuova famiglia.
Don Pietro Coi, viceparroco di Cuadu, suo vicino di casa, al quale da una ventina d’anni ormai sbrigava le faccende domestiche, non desisteva dal tentativo di farle capire come tutto fosse mutato, in realtà, quanto difficile per tutti fosse diventata la vita. La guerra era stata una grande sciagura per tutti, non per lei soltanto. Milioni di uomini avevano lasciato la casa vuota, milioni di uomini, in tutti i paesi: e dopo, altri flagelli s’erano abbattuti sull’umanità intera.
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Dalla prefazione di Sandro Maxia
Il disertore, a parte ora ogni considerazione strettamente letteraria, costituisce la tappa finale di questo itinerario ideologico e morale. Ad esso, senza alcun dubbio, Dessì ha voluto affidare il suo credo pacifista e, entro limiti che vedremo, antimilitarista, maturato in lunghi anni e sfociato nell’adesione al Partito Comunista.
Il romanzo contiene inoltre in nuce una storia della Sardegna tra Ottocento e primo Novecento, tracciata per episodi che sono in sostanza fatti di ribellione e di lotta sociale: si va dalla Legge delle Chiudende (ai cui effetti si allude all’inizio del cap. X) ai fatti del cosiddetto “biennio rosso” (1919-20), che per la Sardegna ebbe come protagonisti i minatori del Sulcis-Iglesiente, al racconto della sovversione squadrista nell’isola, passando per la famosa repressione cruenta dei moti di Buggerru del 1904 (oggetto, come si sa, di un poemetto di Sebastiano Satta, ma – cosa che molti ignorano – causa del primo sciopero generale in Italia).
La scelta degli episodi di questa Sardiniae brevis historia atque descriptio (tanto per riusare qui un titolo basilare della cultura sarda) non lascia dubbi sul retroterra ideologico che la ispira: si tratta della tradizione di pensiero elaborata dal sardismo democratico, da Bellieni a Deffenu a Lussu (non senza suggestioni provenienti dalle pagine meridionalistiche di Salvemini e di Gramsci).