Il Leicester, Ranieri e il Cagliari: l'imprevedibilità ai tempi del calcio miliardario
La vittoria del Leicester, guidato dal tecnico romano ex Cagliari, ci ricorda che il calcio oggi è ancora imprevedibile e a volte per vincere non bastano i miliardi di magnati russi e sceicchi.
Sulla vittoria nella Premiership, la serie A inglese, del Leicester si continuerà a scrivere a lungo. Non solo perché è il sogno di una sconosciuta squadra di provincia dal nome più o meno storpiato dai non anglofoni diventato realtà, ma anche perché ha restituito agli appassionati di calcio il trofeo dell'imprevedibilità e la bellezza di certe storie.
Nell'epoca del calcio globale in mano a magnati russi ed emiri arabi e di giocatori ricchi più di David Crockett, come direbbe Forrest Gump, la vittoria del Leicester ha dimostrato che i soldi non sono tutto, nonostante fino a ieri il club valesse in milioni di sterline più di dieci volte meno la più ricca delle squadre britanniche, il Manchester City.
Ma sul campo è stata la vittoria del bel calcio, anche nel suo immaginario più romantico, quello capace di cambiare le cose. L'affermazione di non poter fare quello che ognuno di loro ha fatto senza gli altri è diventata l'emblema di questo successo, ancor di più oggi che alcuni calciatori si trasformano in brand e valori di mercato, in un pianeta calcio-mondo ipertrofico che viaggia inseguendo i record di chi paga di più e di chi è il più pagato. Una vittoria, la prima nei suoi 132 anni di storia, che all'inizio del campionato, nel Paese in cui si scommette su tutto era data 5000 a 1, meno probabile di un avvistamento del mostro di Loch Ness (eventualità offerta 500 a 1) o di incontrare vivo Elvis Presley (ipotesi data 2.000 a 1).
Imprevedibilità e storie dicevamo. Quella più a noi vicina riguarda Claudio Ranieri, allenatore dei Foxes (le volpi, il simbolo della squadra).
Ex giocatore e allenatore, nato a Roma nel quartiere popolare di Testaccio, tra il 1988 e il 1990-91 riuscì nell'impresa di portare con i gol di Cappioli, il Cagliari di Firicano, Festa e Ielpo dalla serie C alla serie A.
Con l'arrivo di Matteoli dall'Inter e di Francescoli, Fonseca ed Herrera dall'Uruguay, quella squadra oggi fa parte dei ricordi più felici dei tifosi rossoblù, forse secondo solo al Cagliari di Gigi Riva, quello dello scudetto. “Con Claudio abbiamo scritto una delle pagine più belle” racconta il presidente dell'epoca Tonino Orrù.
L'anno successivo, passato alla panchina del Napoli, lanciò Gianfranco Zola da Oliena con la maglia 10 del “Pibe de Oro”, che realizzò 12 gol in 34 partite. E prima della fine della sua carriera nella squadra partenopea, si prese il plauso di Diego Armando Maradona. “Il Napoli non ha bisogno di altri per sostituirmi, la squadra ha già Zola!”, disse il fuoriclasse argentino. Fu l'inizio della storia di “Magic box”.
Reduce da una deludente avventura con la nazionale greca e inizialmente deriso col soprannome "Tinkerman" (lo stagnino) per essere uno che aggiusta con poco nonostante le indecisioni, Ranieri partita dopo partita è riuscito a conquistarsi la stima dei tifosi di una squadra giunta 14esima lo scorso anno e che, al massimo, ambiva ad inizio campionato al traguardo minimo, la salvezza.
Ma in fondo Ranieri ha sempre creduto fin dall'inizio in quella squadra scesa in campo sempre determinata, che gioca da squadra, lasciando così fluire la classe di quelli che i piedi ce li hanno più buoni di altri, ma che di quegli altri non possono fare a meno.
“King” Claudio ha messo davanti al figlio dell'ex portierone danese Schmeichel (Kasper, figlio di Peter), due rocciosi marcantoni a tenere la difesa (Huth e Morgan).
Con loro qualche giovane promessa snobbata da grandi squadre (Drinkwater e Schlupp) o che fino all'altro giorno giocava nelle serie minori, dall'algerino Mahrez al maliano Kanté, dal giapponese Okazaki al panchinaro di lusso Ulloa (argentino, 6 reti in 11 presenze!), fino a quel Jeremy Vardy, 29 anni, ex operaio in una fabbrica di fibre di carbonio che, arrivato dalla quinta serie e scartato sei anni fa dallo Sheffield Wednesday perché troppo piccoletto, è oggi il primo giocatore ad aver fatto gol in 11 partite consecutive della Premier League, rompendo il record precedente del campione olandese Van Nistelrooy.
Tutti uomini sconosciuti al pubblico delle Pay Tv e non solo, ma che con passione hanno giocato e vinto un sogno calcistico che, a soli due anni dal ritorno in A, ha aperto loro i sipari internazionali della Champions League.
Pare che ora resteranno tutti, per giocare la massima competizione europea. Che lo spettacolo cominci allora. Anzi, continui.