La guerra del pecorino tra Sardegna e Lazio
- Scritto da Effe_Pi
Dai produttori laziali attacco al consorzio del Pecorino romano, con sede in Sardegna: favorirebbe solo i caseifici dell'isola, rischio ricorso al Tar.
Una vera e propria guerra del formaggio, quella che rischia di scatenarsi tra la Sardegna e il Lazio, in particolare per il marchio del Pecorino romano, uno dei prodotti di maggior successo dell’export italiano, che nonostante il nome viene prodotto praticamente tutto in Sardegna (al 97%). Sempre nell’isola ha sede il Consorzio di tutela di questo pecorino, ed è proprio questo il problema, almeno secondo tre consiglieri regionali laziali e le associazioni di categoria di quella regione: a lanciare l’allarme sono stati Daniele Sabatini (Forza Italia), Enrico Panunzi (Partito democratico) e Riccardo Valentini (sempre Pd), che insieme alla Cia (Confederazione italiana agricoltori) locale chiedono che una parte consistente del Pecorino romano venga prodotta nella regione della capitale: una produzione rilevante, visto che nel 2013 è stata pari a 24mila 700 tonnellate (di cui 15mila esportate) e che rappresenta un’importante boccata d’ossigeno per l’economia dell’isola. Una risorsa che oggi sembra però a rischio.
Pecorino conteso tra Sardegna e Lazio
La Cia laziale, come raccontato dal Messaggero e altri giornali, si scaglia infatti contro il Consorzio con sede a Macomer, che non soddisfatto di “aver approvato un piano di contingentamento del pecorino romano che impedisce lo sviluppo di quello del Lazio, al quale viene assegnata la quota ridicola di 6mila quintali sui 270 mila programmati, ora vorrebbe impedire ai produttori del Lazio di utilizzare il termine ‘Romano’ anche per la produzione delle caciotte”. Un problema, visto che ci sono caseifici nel Lazio che da soli producono 20mila quintali (ben oltre la quota assegnata a tutta la regione), ma la programmazione del Consorzio è stata accettata dal Ministero dell’Agricoltura, per cui “in Sardegna avrebbero il controllo totale”, con la minaccia per chi sfora di dover pagare al Consorzio 14 centesimi per ogni chilo in più.
La minaccia del ricorso al Tar
Per questo, un caseificio di Nepi ha fatto ricorso al Tar, e se non si dovesse raggiungere un accordo coi sardi, lo stesso potrebbe succedere anche con la Cia. Un problema non da poco, che dovrebbe vedere anche reazioni da parte dei sardi, che finora non sono pervenute: è un fatto però che la Sardegna punti molto su questo tipo di prodotto, peraltro molto diverso da quello che viene da altre regioni, e proprio alla fine del mese scorso la Regione sarda si è impegnata per un serie di interventi a favore del settore caseario, con il presidente Pigliaru che ha parlato di "un’operazione che mi auguro abbia un risvolto positivo nell’intero comparto. Siamo pronti a intervenire per affrontare l’emergenza, ma teniamo lo sguardo alto per strutturare quello che non è stato strutturato nel passato: la formazione dell’Organismo Interprofessionale è punto focale per la governance efficiente di un sistema così complesso. Ci serve per uscire dalla situazione attuale, caratterizzata da oscillazioni di prezzo molto alte e che impediscono di programmare”.
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