Regionali 2014: Programmi su lavoro e formazione
- Scritto da Sabrina_Perra
Finalmente la formazione incontra il lavoro, ma la zona franca è anche un rischio.
I temi dell’istruzione e della formazione professionale sono centrali nei programmi elettorali di tutti i candidati. Si tratta di una importante novità perché, dopo molto tempo, si pone l’attenzione su uno degli elementi nodali della vita sociale, economica e culturale della Sardegna. Il basso profilo educativo e formativo dei cittadini e delle cittadine e di una ampia componente della forza lavoro rappresentano uno dei fattori più problematici per la crescita economica e lo sviluppo culturale e sociale della regione. Ovviamente i modi e le finalità di intervento su questi temi sono profondamente differenti nei programmi dei candidati, dato che sono riferiti a progetti di sviluppo distinti e contrapposti. In tutti i programmi però si riconosce, più o meno enfaticamente, che un adeguato livello di istruzione e di formazione professionale costituisce il presupposto necessario agli individui per trovare lavoro e al sistema produttivo per seguire virtuosi processi di crescita. Non si può che essere concordi su questi punti. Le perplessità sorgono alla lettura dei programmi sui singoli punti che specificamente riguardano l’istruzione, la formazione professionale e il lavoro. Sarebbe necessario uno spazio molto più ampio per discutere i programmi, ma in questa sede è forse possibile fare qualche considerazione su questi temi e rimandare alla lettura dei programmi per coglierne punti di forza e di debolezza.
In primo luogo, non è sempre chiara la distinzione tra istruzione obbligatoria, alta formazione, formazione professionale e formazione permanente. Non si tratta di una mera distinzione teorica, dato che la confusione incide sulla tipologia degli interventi proposti, sulla loro attuazione, sui costi, sulla loro gestione e, cosa più importante, sull’individuazione dei beneficiari.
In Sardegna, com’è noto, persiste il fenomeno degli abbandoni scolastici. Anche tra i più giovani, una percentuale non trascurabile completa a fatica la scuola dell’obbligo, abbandona l’istruzione secondaria senza raggiungere il conseguimento del titolo e inizia una fase di progressivo allontanamento dal sistema formativo, dato che solo raramente sarà intercettato da interventi di formazione professionale in e out the job. Una quota, ancora modesta segue percorsi di alta formazione, ma si tratta di pochi che conseguono la laurea e che in Sardegna continuano ad essere una percentuale piuttosto contenuta. Per queste ragioni, la gran parte degli adulti si troverà nel corso della sua vita con ridottissime competenze di base e professionali che diventeranno presto inadeguate. Una parte importante degli interventi dovrebbe, quindi, essere orientata a migliorare l’offerta del sistema scolastico obbligatorio riducendo gli abbandoni scolastici, ma anche consentendo lo sviluppo di percorsi regolari, densi di attività e capaci di fornire ai più giovani l’accrescimento delle competenze di base. Gli interventi orientati in tal senso che hanno mostrato una maggiore efficacia sono quelli che prevedono l’uso del tempo prolungato e la possibilità per i più giovani di svolgere in ambito scolastico esperienze formative che includano attività curriculari ed extracurriculari. Per fare questo è necessario disporre di spazi adeguati e di impiegare molti più insegnanti, formatori, collaboratori scolastici e altre figure professionali. Non va dimenticato che questo tipo di organizzazione scolastica si avvale anche della collaborazione con altri operatori della cultura. Le ricadute, anche sul piano occupazionale, potrebbero essere non trascurabili.
Anche il discorso sulla formazione professionale è complesso. Il punto di partenza è che questo dovrebbe essere direttamente collegato con i servizi per l’impiego o, più in generale, con gli enti preposti alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro. La formazione professionale va dunque considerata come ancillare al lavoro e deve differenziarsi a seconda dei diversi tipi di potenziali beneficiari se giovani o adulti, se all’inizio della carriera lavorativa o alla fine, se espulsi dal sistema produttivo o alla ricerca di una nuova occupazione. In tutti i casi, la formazione professionale deve essere costruita in accordo con le esigenze presenti e future del sistema produttivo e con l’impegno anche degli imprenditori, in particolare per la formazione on the job. Se questa è l’organizzazione data nei contesti in cui la formazione è più efficace, viene da sé, che nel caso sardo, la riforma del sistema dei servizi per l’impiego e quella della formazione professionale devono essere contestuali.
Del tutto distinti gli interventi per l’alta formazione che riguarda individui ad elevati profilo educativo e competenze professionali, ancora in numero piuttosto ridotto e che necessita di molti interventi, a partire da una revisione delle norme sul diritto allo studio.
Altra cosa è invece la formazione permanente, che deve intendersi come l’apprendimento senza soluzioni di continuità nel corso della vita professionale di ciascun cittadino, la cui premessa essenziale è un’istruzione di base di qualità per tutti. Si tratta dunque di un progetto più esteso che richiede una notevole capacità di raccordo tra sistema di istruzione, quello della formazione professionale e dell’alta formazione.
Per quanto riguarda il lavoro, posto che questo non si crea con le leggi, i programmi proposti discutono di lavoro riferendosi ai diversi settori produttivi, ma con modalità piuttosto vaghe. Tutti concordano nel ritenere che opportunità di lavoro possano essere create in agricoltura, turismo e cultura, ma soprattutto nella riconversione dei siti industriali in crisi o dismessi, in seno ad una politica industriale solo accennata in alcuni programmi. Per tutti sembrano funzionare incentivi alle imprese e defiscalizzazione, oltre che riduzione dei costi, soprattutto energetici e di trasporto. Pur nella genericità delle proposte, sollevano perplessità quelli in cui si ancorano gli incentivi ad elementi identitari, in contrasto con le direttive europee e ancora meno convincenti sembrano le ipotesi di defiscalizzazione derivanti dall’istituzione di un qualche tipo di zona franca. Più credibile, seppure sia necessario spiegare come si possano trovare misure di gettito alternativo, sembra essere l’introduzione di una qualche fiscalità di vantaggio, consentita in seno all’autonomia regionale. Vanno spiegate in questo caso le misure che evitino la corsa “all’imprenditoria mordi e fuggi”.
Un’ultima nota in relazione alle politiche attive del lavoro di cui si parla nei programmi in relazione alla formazione professionale e alla creazione di nuova impresa. Forse è bene ricordare che, attualmente, le politiche attive per il lavoro sono definite nella legge 20/2005, solo parzialmente attuata e inadeguata rispetto alla situazione attuale del sistema produttivo. Il primo passo dovrebbe quindi riguardare la riorganizzazione del quadro istituzionale e normativo che regolamenta gli strumenti a sostegno dell’occupazione, non solo dei più giovani, su cui si concentra l’attenzione dei candidati, sebbene la disoccupazione in Sardegna sia soprattutto adulta. Nei programmi nulla è detto al riguardo, ma si tratta non solo di modificare una norma, ma di attuare interventi la cui efficacia deriva direttamente dalla coerenza che li lega alla volontà di una efficace programmazione regionale.
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TABELLA RIASSUNTIVA
Cominciamo il domani | La coalizione di centro-sinistra riconosce centralità a istruzione, formazione professionale e lavoro. In una visione di sviluppo che tenga conto delle specificità territoriali, gli interventi proposti su questi temi sono declinati nel breve, medio e lungo termine e, soprattutto, rispondono alla consapevolezza che si tratta di aree di intervento in capo all’amministrazione regionale, non alla governance sub-regionale.La coalizione propone un aumento degli investimenti sul lavoro (anche se la copertura finanziaria non è dettagliata) e la necessità di ripensare l’azione politica regionale all’interno della governance nazionale ed europea. Gli interventi proposti sono inseriti in una visione complessiva che articola istruzione/formazione professionale – lavoro e impresa in cui il primo passo è la revisione completa dei servizi regionali per l’impiego (anche se non si fa riferimento al fatto che questi sono di competenza provinciale, quindi prioritariamente, è necessario disporre di un disegno di riorganizzazione istituzionale della regione). Il programma individua gruppi di beneficiari specifici, tra cui i giovani per i quali si intende ridisegnare percorsi formativi e di lavoro. Sono proposti interventi in linea con quanto richiesto dalle direttive europee, ma la copertura finanziaria non è specificata e molti degli interventi proposti richiedono forse investimenti aggiuntivi difficili da reperire, soprattutto se nel breve periodo si vuole continuare a mantenere la copertura delle misure di sostegno al reddito, previste dall’attuale sistema di ammortizzatori sociali, così come specificato nel programma. Inoltre, si deve ricordare che la disoccupazione in Sardegna riguarda gli adulti e, tra loro, i meno istruiti e con ridotte competenze tecniche. Una menzione si deve fare all’attenzione posta dalla coalizione rispetto alla parità di genere. La sua esplicitazione evidenzia una consapevolezza rispetto ai temi, anche se a questa corrispondono interventi che appaiono confusi e sovrapposti. A tale proposito, nella loro definizione è bene ricordare che la prospettiva di genere, per essere efficace, deve riguardare ambiti di intervento/politiche che ad essa si ispirano sviluppando una visione di emancipazione delle persone. È per questo che si innestano, tra le altre, nelle politiche per la famiglia, in quelle di conciliazione e nella definizione del sistema di welfare. Altra cosa sono però le politiche in favore dell’occupazione femminile, che agiscono con strumenti e modalità diverse dalle prime e i cui effetti sono solo indiretti. |
Fronte Indipendentista Unidu | Il FIU propone una revisione del sistema di valutazione sulla qualità dei servizi forniti dalla PA e una serie di incentivi alle imprese. Sui primi interventi l’idea intende favorire l’incontro tra domanda/offerta di formazione professionale. Meno precisi e soprattutto in contrasto con l’attuale normativa dell’UE gli incentivi alle aziende centrati su misure che favoriscano appartenenze territoriali o elementi identitari. Troverebbe un veto, ad esempio, il punteggio di residenza per il concorso negli appalti pubblici.La parte del programma dedicata a lavoro e PA appare disarticolata e non fornisce chiari riferimenti rispetto alle coperture finanziarie ma, soprattutto, non spiega in che modo si dovrebbe articolare la governance regionale, nella prospettiva di una accresciuta autonomia, e gli altri livelli di governance nazionale e internazionale. Tutto ciò è molto più grave per il fatto che gli interventi annunciati sono tutti inseriti in complesse articolazioni istituzionali e legislative di natura nazionale ed europea. |
Movimento Zona Franca | Il programma di Sanna è incentrato sulla zona franca che dovrebbe produrre i suoi principali vantaggi soprattutto sul lavoro. Anche se non esiste una zona franca per il lavoro, il Movimento ritiene che misure di defiscalizzazione, unite a incentivi alle imprese, favorirebbero la creazione di posti di lavoro, sia per i lavoratori qualificati (in particolare dei beneficiari del programma Master & Back) sia per quelli a ridotte competenze tecniche e professionali. A tale proposito, appare lacunosa anche la parte relativa alla riorganizzazione del sistema della formazione professionale. Elemento centrale del progetto Zona Franca è la riduzione delle accise e, più in generale, dei costi energetici. Non sono però specificati i modi e i tempi di questi interventi che interessano sistemi di produzione complessi, con competitor nazionali e internazionali, pubblici e privati, e sistemi di garanzia della concorrenza stabiliti a livello comunitario e quindi non negoziabili a livello di governance regionale. |
Sardegna Possibile |
Sardegna Possibile propone interventi in ambito formativo e per il lavoro che si inscrivono in un piano di sviluppo incentrato su una dimensione territoriale locale e in netta contrapposizione con una programmazione che segue processi di tipo top-down. Il piano di sviluppo include come strumento principe l’attivazione di micro-modelli territoriali accompagnati da altri interventi emergenziali, già attivi a supporto dei disoccupati, dall’azione di bonifica dei siti industriali. I blocchi di interventi sono disarticolati, benché incidano sugli stessi territori e, presumibilmente, interessino gli stessi attori istituzionali e sociali.I micro-modelli sono intesi come riorganizzazioni produttive permanenti sul territorio, finanziate come politiche attive del lavoro. Di questi sono individuati alcuni settori, anche se non sono chiarite le coperture finanziarie, né le modalità attraverso le quali si articolano, né la loro governance interna e il raccordo con l’amministrazione regionale. I micro-modelli, complessi e articolati, rispondono a pratiche di sviluppo locale che richiamano la nota tradizione europea che, da Progetto Sardegna alla Programmazione negoziata e integrata ha caratterizzato il passato dell’isola.Nel complesso, questa programmazione bottom-up è fallita a causa, tra le altre cose, della ridotta infrastrutturazione materiale e immateriale che non può essere lasciata ai territori. A questo si aggiunge una modesta conoscenza delle caratteristiche socio-economiche e culturali dei territori, primi tra tutti la distribuzione e la composizione della popolazione, oltre che la necessità di riorganizzazione istituzionale e amministrativa del territorio della regione, a seguito dell’abolizione delle province. Su questi e molti altri temi, il programma tace e ciò induce perplessità rispetto alle possibilità che questi elaborati progetti trovino concreta attuazione. Infine, non si specifica quali effetti positivi si avrebbero dall’applicazione dei micro-modelli sulle competenze tecniche e professionali, oltre che sui processi che dovrebbero condurre alla costruzione (in tre anni) di un sistema produttivo differenziato territorialmente e autosufficiente. Queste perplessità sono aggravate dal fatto che per i primi tre anni, la copertura finanziaria (di cui si ignora la fonte) è interamente pubblica e il rischio di una dispersione di risorse appare estremamente alto. |
Schiena dritta, testa alta | Il tema del lavoro trova numerosi richiami nel programma del candidato Pili, anche se si tratta di soli richiami teorici. Nella parte intitolata “la rivoluzione del lavoro” che lascerebbe intendere come la più innovativa, si propone un piano per il lavoro finalizzato alla creazione di 20 mila posti di lavoro che dovrebbero crearsi, in parte, nella riconversione di siti industriali in crisi, nell’edilizia, (non è chiaro se pubblica o privata), e in progetti territoriali ecocompatibili e innovativi in cui si dovrebbero usare risorse energetiche endogene. Mancano riferimenti anche sommari alle coperture finanziarie e soprattutto alle modalità di creazione di queste opportunità di lavoro.Il secondo punto di rilievo è la riforma del sistema della formazione professionale che dovrebbe essere centrata su scambi inter-universitari. Questo fa intendere che si tratti di programmi di alta formazione, fortemente professionalizzanti. Si dimentica però che il segmento che più necessita di formazione professionale è quello dei lavoratori con scarsa istruzione e spesso ridotte competenze tecniche. A proposito di formazione professionale, si fa riferimento ad un presalario che dovrebbe favorire l’ingresso immediato nel mercato del lavoro, funzionando come strumento di raccordo tra formazione professionale e lavoro. |
Ugo Cappellacci presidente | La coalizione di centro-destra propone un piano quinquennale e straordinario per il lavoro che abbia al centro la lotta alla disoccupazione giovanile. Sono rafforzati strumenti già introdotti nella precedente legislatura: apprendistato, tirocini, alta formazione e Master&Back. Gli interventi sono apprezzabili, ma nessuna indicazione è data sull’ efficacia raggiunta fino ad ora.Il programma per il lavoro si snoda sul fronte pubblico e su quello privato. L’incentivo pubblico è sostenuto mediante voucher cofinanziati per un terzo del loro ammontare dagli enti ospitanti. Le imprese sono invece incentivate mediante fondi per tirocini riservati a giovani apprendisti. In caso di assunzione, le aziende riceveranno un “bonus assunzionale” (di cui non si dichiara l’entità, né la durata, né la copertura). Data la genericità dell’intervento, questo può fare intravedere il rischio che il bonus si trasformi nell’ennesima misura assistenzialista e/o clientelare a favore delle aziende.Infine, qualche perplessità pone la proposta di fondi a favore di giovani che gli impieghino in programmi di alta formazione e che saranno restituiti al momento in cui trovino un’occupazione. Si rilevano trattamenti differenziali per giovani con profili educativi diversi, senza che ad essi corrispondano diversi meccanismi di incentivazione per beneficiari con caratteristiche specifiche. Infine, hanno solo natura di proclami gli interventi di revisione del programma Master&Back e l’attivazione di “cantieri culturali” di cui non si specificano neppure i beneficiari. |
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