ELETTROSHOCK: CCDU CONTRO CONVEGNO A ORISTANO
- Scritto da Effe_Pi
La Onlus attacca il DSM di Oristano per propaganda dell'elettroshock.
La cura giusta per le persone malate di mente, specie se donne incinte? L’elettroshock. È la sconcertante idea espressa nei giorni scorsi durante un convegno organizzato dal Dipartimento di salute mentale di Oristano, che si è tenuto all’ospedale “San Martino” per promuovere l’uso della “terapia elettroconvulsivante (TEC)”. Una propaganda che sembra riportare indietro nel tempo, quando l’elettroshock era pratica diffusa, accettata e in molti casi strumento di repressione, oggi considerata opera di “disinformazione” dalla Onlus CCDU (Comitato dei cittadini per i diritti umani).
L’associazione riporta l’”agghiacciante” dichiarazione del Direttore del Dipartimento di Salute Mentale oristanese, Giampaolo Minnai, secondo cui l’elettroshock "è persino preferibile, rispetto ai farmaci, per le donne in gravidanza". La denuncia del CCDU non si ferma qui, infatti la “barbara pratica” sarebbe ancora attuata proprio nell’ospedale dove si è tenuto il convegno, e si è quindi deciso “di intraprendere una serie di iniziative, inclusa la segnalazione alle autorità competenti, al fine di difendere le persone affette da disagio mentale”.
Il termine “terapia elettroconvulsivante” sarebbe poi fuorviante, dato che “si tratta sempre e comunque di un elettroshock camuffato con farmaci bio-rilassanti, che rendono la procedura meno sgradevole alla vista, ma certamente non meno dannosa”. Denunciate anche le dichiarazioni degli organizzatori, molte delle quali sarebbero “prive di fondamento” e a dispetto del recente documento delle Nazioni Unite, che include l’elettroshock tra gli strumenti di tortura, si sostiene addirittura che abbia “meno effetti collaterali e migliori risultati clinici” o addirittura che “migliori l’attività cerebrale e dia migliori effetti sul sistema nervoso centrale”. Il CCDU conclude quindi chiedendosi come sia possibile “che queste affermazioni provengano da medici regolarmente assunti nel sistema sanitario pubblico e che si presume abbiano una laurea universitaria”.