In difesa dell'identità dei sardi, rileggendo Michelangelo Pira
- Scritto da Effe_Pi
Un'analisi dell'opera dell'autore bittese scomparso nel 1980, alla ricerca di tracce della biografia dei sardi di oggi, soprattutto nel romanzo postumo pubblicato in limba Sos Sinnos.
di Giovanni Graziano Manca
Il giornalista, scrittore, antropologo e docente universitario Michelangelo Pira studiò a fondo i problemi originati dal passaggio, reso necessario dalla modernità, dalla civiltà e dalla cultura sarda agro-pastorale a quella globale dei consumi. Dell’intellettuale prematuramente scomparso nel Giugno del 1980 (era nato a Bitti, piccolo centro della provincia di Nuoro, nel 1928) rimangono scritti tra i più impegnati e ispirati dell’intera letteratura sulla civiltà e sulla lingua dei sardi e passi di straordinaria attualità con i quali egli, con inestinguibile passione, difende il diritto degli stessi sardi ad avere e coltivare una propria identità etnica e culturale che sia libera dai mille motivi di remora imposti dalla cultura statale egemone. Il bisogno di ribadire energicamente tale identità presuppone per Pira che la lingua sarda non sia più vista come subalterna a quella nazionale; essa deve piuttosto far parte integrante dei necessari processi di modernizzazione che coinvolgono anche la Sardegna. All’interno di questi processi di modernizzazione la lingua e la cultura, l’intera identità dei sardi devono dinamicamente interagire con l’esterno; ad esse va data la possibilità di fornire il proprio specifico contributo alla cultura nazionale. Gaspare Barbiellini Amidei, che scrisse l’introduzione di La rivolta dell’oggetto – Antropologia della Sardegna, opera fondamentale nella bibliografia dello studioso bittese, spiega così il messaggio seminale trasmesso dal libro: occorre riconoscere la dignità e le coordinate logiche di un modo peculiare, quello sardo, di partecipare a una lingua, a una cultura, a una economia, a uno sviluppo, a una crescita sociale che è poi di tutto il paese.
In Sos Sinnos, romanzo pressoché autobiografico scritto in limba, Pira scelse di scrivere “come parlava”: per lui, aveva detto tante volte, <la lingua scritta è la fotografia della lingua parlata> (Così Manlio Brigaglia, nell’introduzione a una delle ultime edizioni del libro).
Leggiamo un breve brano di questo straordinario romanzo.
"Custa tzente de zittate chi no s'imbreaca' mai, chi misura' donzi paraula e donzi passu e chi no ride' mai a iscraccagliu e chi cando ride' movet ebbia sa' lavras tot' a misura e chi no ischi' mancu pranghere cando b'a' de pranghere chere timita............................ Custa tzente de zittate totu chi' s'arva atta donzi die e tottu lavata e bene estita che mortu in baule jeo la ido ch'er tzente morta....... jeo cando ido so' lumenes e sas caras issoro i sa radio e mi los abbaito in televisione o lor vido ass'atter'ala de isportellos de vridu e ido chi son pupas [pupas=ombre, secondo la traduzione approntata da Natalino Piras, n.d.r.] , apparenzias vanas, ma issos imbezzes pessana: "Cussu so jeo e chere’narres chi so viu, chi juco una cara e faeddo e appo unu lumene". Est tot'un 'ingannu, una tropea [tropea=pastoia, secondo la recente traduzione di Natalino Piras n.d.r.] chi si sono postos issor matessi. Manizzan dinari e assegnos, documentos e papiros e credene chi tottu custas apparenzias siana sa vida e veritate..........” .
[Ecco la (mia) traduzione del brano: “Questa gente di città che non si ubriaca mai, che misura ogni parola che pronuncia ed ogni passo che fa, che non ride mai di gusto e che quando ride, ride con misura muovendo appena le labbra e che non sa neppure piangere quando è il caso di farlo, bisogna temerla…Questa gente di città con il volto rasato ogni giorno e, come un morto nella sua bara, ben lavata e vestita, la vedo che è gente morta…io quando sento i nomi alla radio e quando guardo le loro facce alla televisione o li vedo dall’altra parte di qualche sportello di vetro e vedo che sono ombre ed apparenze vane, ma essi invece pensano 'Quello sono io, ciò significa che sono vivo, ho un volto e parlo e ho un nome'. E’ tutto un’inganno, un modo che essi hanno di imbrogliare se stessi. Maneggiano denaro e assegni, carte e documenti e credono che di tutte queste apparenze siano fatte la Vita e la Verità”] .
La gente di città del frammento di ‘Sos Sinnos’ (il romanzo venne pubblicato postumo nel 1983) viene descritta come priva di identità, come se non disponesse di un cuore che palpita, come se fosse morta.
Anche questo libro dell’intellettuale barbaricino contiene molti spunti di riflessione ed è denso di contenuti universali. Come quando leggendo ci si imbatte in idee che hanno soggetti, motivazioni e punti d’inizio molto differenti ma che poi, per qualche verso (e al di là di possibili interpretazioni ideologiche) possono comunque essere collegate tra loro, rileggendo Sos sinnos a me sono tornati in mente la reazione del filosofo professore universitario tedesco Martin Heidegger (si legga l’intero scritto heideggeriano dei primi anni Trenta: Perché restiamo in provincia?) di fronte alla eventualità di dover lasciare la propria baita tra le montagne, i boschi e le fattorie della Foresta nera meridionale per un trasferimento a Berlino a seguito della seconda chiamata di quella Università:
Recentemente ho ricevuto la seconda chiamata all’Università di Berlino. In una tale circostanza mi ritiro, fuori dalla città, nella baita. Ascolto quello che dicono le montagne, i boschi e le fattorie. Visito per l’occasione il mio vecchio amico, un contadino settantacinquenne. Ha letto sul giornale della chiamata a Berlino. Cosa dirà? Egli dirige lentamente lo sguardo sicuro dei suoi occhi chiari nei miei, tiene la bocca ermeticamente chiusa, posa sulla mia spalla la sua mano fida e prudente scuote impercettibilmente il capo. Ciò significa: assolutamente no!
e gli automi di Metropolis, lungometraggio del cineasta austriaco Fritz Lang, cult movie tedesco dei primi decenni del secolo scorso, una delle opere più significative dell’espressionismo cinematografico, ispiratore anche oggi di molto cinema fantascientifico. Il messaggio dell’opera di Lang si porta ben al di là della matrice ideologica e politica di fondo presente nel film (la contrapposizione tra operai e capitalisti) e consisterebbe invece, secondo quanto afferma lo stesso regista, nello spiegare che l’intermediario ‘tra le braccia e la mente’ è il cuore. Gli operai di Metropolis diventano parte integrante del processo meccanico-tecnologico-produttivo perché mancano di identità.
Tornando a Sos Sinnos, sorta di biografia nella quale molti sardi, ancora oggi, potrebbero riconoscersi, ecco, rileggendolo ho nuovamente ricavato da esso motivi validi per poterlo considerare un capolavoro. Esso svela molto di ciò che gli stessi sardi sono e su come essi vivono. Soprattutto in tempi come quelli che tutti noi viviamo, di globalizzazione dilagante, che sembrano portare con se solo distruzione, rovina o erosione di culture millenarie, vale la pena sforzarsi per cogliere il messaggio che può essere letto tra le righe di Sos Sinnos? Ne siamo convinti: soltanto in questo modo l’ipotetico lettore potrà avere maggiore consapevolezza della eccezionale modernità del romanzo; solo così potrà trarre da esso proficui insegnamenti.