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Il fallimento della nazionale italiana e il boomerang razzista

File:Mbappé 25032021.jpg - Wikimedia CommonsGli azzurri appena usciti nel disastro tedesco sono l'unica nazionale di un grande paese europeo che non ha giocatori importanti di seconda generazione, gli Mbappé italiani fermati dalla mancanza di Ius Soli e dalla xenofobia.

La nazionale italiana ha fallito ai campionati europei di Germania, eliminata da una Svizzera dominante negli ottavi di finale: non è l’unico smacco subito dal calcio tricolore negli ultimi anni, dalla doppia eliminazione dalla fase finale dei mondiali 2018 e 2022, alla rapida uscita da quelli del 2010 e del 2014: unica eccezione la vittoria agli Europei del 2021, favorita dalla particolare formula post Covid, dal gran numero di partite giocate in casa dagli azzurri e dai rigori fortunati contro Spagna e Inghilterra. Ora le responsabilità del fallimento sembrano non essere di nessuno, dal presidente della Federazione Gravina, protagonista di tutte le spedizioni italiane dal 2018 in poi, a Spalletti, arrivato da troppo poco tempo e incapace di autocritica, fino ai giocatori, quasi giustificati perché in fondo non sono dei campioni e avrebbero dato “il massimo”.

Insomma, molto all’italiana non ci sarebbe nessun colpevole. O meglio, si dice che la “colpa” sia dei troppi stranieri nella Serie A, anche se si fa finta di non sapere che gli altri principali campionati sono anch’essi imbottiti di giocatori provenienti da altri paesi e che tantissimi talenti francesi, tedeschi, olandesi, portoghesi etc. giocano all’estero, in alcuni casi magari proprio in Italia. Ma a guardar bene, qual è la vera differenza tra le grandi squadre di questo Europeo e l’Italia? Il tasso tecnico, sicuramente, ma ce n’è una ancora più macroscopica. Francia, Inghilterra, Spagna, Germania, Olanda, Portogallo e anche Svizzera, sono piene di giocatori di seconda generazione. Campioni originari di altri paesi ma con la cittadinanza della nazione in cui giocano e cresciuti calcisticamente in Europa.

Per fare solo alcuni esempi (ma ce ne sono moltissimi altri), la Spagna ha i giovanissimi fuoriclasse Yamal e Williams, l’Inghilterra ha lo splendido Bellingham e Saka, la Germania la sua punta di diamante Musiala e molti altri, da Gundogan a Sané, nella Francia, ormai da tempo su questa strada, i grandi giocatori non di pelle bianca non si contano, da Mbappé a Kanté fino a Maignan. Solo l’Italia ha una rosa praticamente tutta composta da quelli che negli USA si chiamerebbero WASP: ci sono alcuni giocatori con caratteristiche diverse nel giro della nazionale, da Kean a Udogie e Folorunsho, ma non giocano praticamente mai e comunque non fanno la differenza. I numeri sono troppo bassi per esprimere campioni, l’unico che in passato per un breve periodo ha fatto la differenza è stato Balotelli, ma ha avuto l’impatto di una meteora: perché quindi l’Italia non riesce ad avere un Mbappé, un Musiala o uno Yamal? Perché il calcio tricolore è razzista? Questa potrebbe essere una spiegazione ma non basta, visto che si parla di affari anche economici davanti a cui perfino il razzismo passa in secondo piano.

C’è sicuramente un problema di visione vecchia, vetusta e conservatrice del calcio e perfino del mondo, del resto basta guardare i dirigenti del calcio italiano o i giornalisti che commentano le gare per capire che è così: poi c’è un problema legale, perché in Italia è difficilissimo prendere la cittadinanza, anche per ragazzi che hanno vissuto qui per i loro primi 20 anni, e così può capitare che un campioncino nato e cresciuto in Italia magari abbia un’altra nazionalità. Lo Ius Soli potrebbe aiutare in questo senso, ma qui è davvero il razzismo di Stato a danneggiare lo sport, oltre che tante persone che si sentono italiane. Del resto, oltre a guardare altri paesi, basta seguire altre discipline in Italia: gli azzurri sono diventati una potenza nell’atletica con gli Jacobs e tutti quelli che sono seguiti, nel volley femminile con Egonu e le altre: potrebbe succedere anche nel calcio, se non fosse che il nostro Mbappé probabilmente sta aspettando la cittadinanza da anni o magari non emerge nella sua scuola calcio perché non ha agenti e procuratori che lo spingono o una famiglia disposta a pagare profumatamente per questo. La xenofobia e il classismo sono sempre un boomerang, anche nel calcio.

Foto - Lcc