IN Breve

Scarti di Jonathan Miles

  • Scritto da Effe_E

Il romanzo Scarti è stato apprezzato molto dalla critica americana: dal New York Times così come Washington Post.

Incipit

1

A parte uno, tutti i sacchi neri dell’immondizia ammucchiati sul bordo del marciapiede della Quarta Strada Est erano trapuntati di neve fresca e apparivano, a Talmadge, come vette alpine rischiarate dalla luna. O almeno come Talmadge, nato e cresciuto in pianura, immaginava potessero apparire le vette alpine, se inondate dal bagliore lunare e (aggiunse, dopo un’ulteriore riflessione) fatte di fogli di polietilene a bassa densità. Riconosceva che le sue facoltà mentali erano ancora sotto il poderoso effetto del mezzo grammo di Sour Diesel californiana che aveva fumato mezz’ora prima, ma comunque: montagne. Decisamente. Quando strofinò via la neve dal sacchetto più in alto e sciolse il nodo che ne stringeva la sommità si sentì come un dio che smantellava la Terra.

Di sicuro Micah avrebbe avuto da ridire su questa similitudine – gli sembrava quasi di sentirla: «Il problema, con voi uomini, è che non siete in grado nemmeno di aprire una dannata busta della spazzatura senza voler essere una divinità che sottomette il pianeta» – e poi sarebbe passata a tormentarlo per il semplice fatto che lui faceva similitudini. «È possibile che non sai dire tre frasi di seguito senza ficcarci dentro la parola come?» Ed era vero: Talmadge era un analogista accanito, e non poteva fare a meno di vedere il mondo come una matrice di riferimenti interconnessi, in cui ogni cosa era collegata a ogni altra per mezzo degli impulsi associativi e polarizzanti del suo cervello. Ai tempi del college aveva letto che quel tratto era indice di genialità, o forse solo di intelligenza superiore alla media ma, pur sentendosi lusingato, era anche tristemente consapevole di averlo ereditato direttamente da suo zio Lenord: un segmento di dna che non era particolarmente ansioso di rivendicare. Zio Lenord, il quale riparava tosaerba, decespugliatori e altri arnesi a motore nella sua rimessa di Wiggins, Mississippi, era una fonte inesauribile di similitudini campagnole – più rovente di due furetti che fottono in una foresta in fiamme; più nervoso di un passero in una tagliola; più sbronzo di una bicicletta senza sterzo; brucia più del culo di una capra in un orto di peperoncini – ma nessuno aveva mai avuto il sospetto che facesse pensieri geniali, o anche solo più intelligenti della media. A essere sinceri, nessuno aveva mai avuto il sospetto che lui pensasse in generale, con la possibile eccezione della fidanzata di uno dei confratelli di Talmadge alla Ole Miss.1 La ragazza aveva intervistato Lenord per la tesina finale del corso avanzato di Storia e Cultura degli Stati del Sud riguardo agli effetti del disboscamento massivo sulle comunità rurali e, dato che quella tesina le era valsa quasi il massimo dei voti, si presumeva che Lenord fosse stato costretto a pensare almeno una volta in vita sua. Qualche settimana dopo, mentre Talmadge era a casa per le vacanze di Natale, lo zio gli aveva fatto rapporto sullo svolgimento dell’intervista: «Quella c’aveva delle tette da qua alla luna», gli aveva confidato. «Mi sarei buttato su quel culo come un papero su un lombrico».


Scarti è il primo romanzo tradotto in italiano dell’autore americano Jonathan Miles, il titolo originale del libro è Want not, a portarlo in Italia è la Minimum Fax, casa editrice sempre molto attenta alla letteratura contemporanea americana.

Scarti è un romanzo corale, non facile alla lettura - ma le cose belle, intense, quasi mai sono facili, infondo -: la narrazione si dipana attraverso tre percorsi, tre filoni narrativi apparentemente slegati i cui protagonisti sono personaggi ordinari, le cui vite sono scarti, o sono invase, colme di scarti, materiali o metaforici. Ma di questo materiale di recupero, di questi pezzi che restano, i protagonisti, ognuno a modo suo, ne fanno il loro carburante per ricominciare, per riprendere la propria esistenza.

Nella prosa di Miles non c’è denuncia sociale, ne critica al sistema, ma una lucida narrazione del vivere che procede inesorabile così come deve procedere. Il romanzo è stato apprezzato molto dalla critica americana: dal New York Times così come Washington Post.


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