Vanda, la figlia del podestà di Aidomaggiore
- Scritto da Effe_Pi
Il tragico destino di una giovane ragazza nella Sardegna del periodo fascista, una storia tramandata per generazioni nell’interno dell’isola.
Di Serpico
Ci sono storie del passato che rimangono impresse nella memoria degli uomini e che vengono tramandate negli anni. Ci sono vicende che graffiano l'animo umano e rimangono vive nelle comunità nelle quali sono vissuti i protagonisti. Le storie tragiche e di sangue inevitabilmente stimolano la curiosità ed il bisogno di sentirle raccontare. Spesso alcuni racconti, nella Sardegna autentica dei paesi, vengono ricordati di fronte al focolare acceso nelle notti d'inverno.
Non deve pertanto stupire se ancora oggi sia ancora vivo il ricordo di un gravissimo fatto di sangue che accadde in un piccolo paese dell'interno della Sardegna, Aidomaggiore. Nel pomeriggio del 7 gennaio del rigido inverno del 1925, Vanda Serra di 12 anni si apprestava a rientrare frettolosamente a casa dove viveva sola con il padre. Incontrò alcuni paesani che gentilmente la salutarono con rispetto e quasi con devozione. La piccola Vanda è infatti figlia di un ricco possidente, Giuanne Serra che ricopre un’importante posizione all’interno della comunità. È infatti il podestà, ossia un incaricato di amministrare il paese per conto del regime fascista al potere. Uomo autoritario e temuto.
A sessant’anni si sposò con una giovane donna di appena vent’anni, Amalia Porrà, ma il loro matrimonio durerà sino alla nascita di Vanda. Amalia, giovane ed esuberante, incontrò nella sua tormentata vita matrimoniale un giovane impiegato nel caseificio del marito, Peppe Camboni. Tra i due scoppiò la passione e ben presto Amalia uscirà di scena con il suo giovane amante, o meglio verranno messi alla porta dal marito tradito, portandosi via gli altri due figli, nati forse dalla relazione con il giovane Peppe, considerati da Giuanne “figli del peccato”.
Vanda, unica figlia legittima di Giuanne rimarrà a vivere sola con il padre nella grande casa, con un velo di tristezza e solitudine per l’assenza della madre e dei fratellini, che l’accompagnerà nella sua breve e tormentata esistenza. Quel pomeriggio Vanda, dopo aver incrociato le ultime persone quasi vicino casa, sparisce senza lasciare traccia. Il padre si preoccupa immediatamente per l’insolito ritardo della sua bambina, che mai l’aveva fatto impensierire. Il paese piccolo ed il rispetto per la loro famiglia non faceva presagire nessun pericolo.
Giuanne montò a cavallo e insieme ai paesani batté in lungo e in largo il piccolo pugno di case e le campagne circostanti. La stessa sera della scomparsa ricevette una richiesta di riscatto di 80 mila lire per poter riabbracciare la sua Vanda. Alle ricerche della piccola partecipò attivamente anche Peppa Rosa Ziulu, una donna timorosa di dio che frequentava assiduamente la parrocchia e si preoccupò di consolare con carità cristiana il disperato Giuanne. Gli abitanti setacciarono pozzi, giardini e casolari ma della bambina nessuna traccia. Si temette il peggio ed il passare del tempo lasciava pensare al peggio. I tanti volontari proseguirono instancabilmente le ricerche anche nelle case abitate da persone al di sopra di ogni sospetto. Compresa la canonica ove abitava il sacerdote, Don Giovanni Spanu.
Fu la volta anche della casa di Peppa e una volta finita la perlustrazione qualcuno sospettoso notò nell’angolo di una stanza “qualcosa avvolta nel cesto della biancheria sporca”. Il dramma si consumò in pochi ed interminabili secondi agli occhi dei presenti. Il corpo senza vita della povera Vanda giaceva lì. La donna immediatamente sottoposta ad interrogatorio con forza negherà ogni responsabilità, per poi accusare del misfatto il canonico Spanu. Interrogato a sua volta il prete si proclamò estraneo alla vicenda, accusando la devota. Si rimbalzarono le colpe a vicenda ma ormai divenne chiaro a tutti che gli assassini erano proprio loro. Il canonico Spanu e la donna più devota del paese, Peppa Rosa.
Restò da capire il movente dell’efferato delitto. Erano amanti e con i soldi del riscatto volevano fuggire in America, “dove i preti si sposano“, disse lei. Secondo alcuni invece, Vanda pagò con la vita il fatto di aver scoperto casualmente la tresca amorosa dei due che doveva rimanere segreta. La bambina sarebbe stata attirata con un tranello a casa di Peppa Rosa dove tentarono invano di strangolarla. Vanda si difese con tutte le sue forze ma nulla poté, trattenuta dal canonico, contro i colpi violenti di accetta sferrati da Peppa Rosa. Un colpo deciso sulla nuca spense la giovane vita innocente per sempre.
Si arrivò ad un processo che si concluse nel marzo del 1926. Non si conoscono dettagli sul dibattimento, né risultano reperibili atti processuali o articoli di giornale dell’epoca. Si disse che Peppa abbia scontato solo una parte della pena inflitta per l’orrendo delitto. Pare che fosse poi tornata a vivere ad Aidomaggiore in una miserabile casupola composta da due stanze proprio di fronte a quella che fu la sua casa, che le venne requisita, ove si consumò il delitto e la sua vita stessa. Forse afflitta da rimorso, visse in solitudine e povertà, senza mai salutare nessuna persona che incontrava per strada, ricurva e vestita di stracci. I bambini avevano paura di lei e gli adulti la evitavano, lasciandola sola e assorta nei suoi silenzi e patimenti.
A quanto dissero, anni dopo morì in uno squallido ospizio di Sedilo, dove venne sepolta in una tomba senza croce. Del canonico si persero le tracce per tanto tempo ma si seppe successivamente che passò gli ultimi anni della sua vita nel suo paese d’origine, Sindia. Nel piccolo cimitero di Aidomaggiore immerso nella silenziosa campagna, vi è la tomba con una foto sbiadita dal tempo di Vanda, bambina che non diventò mai donna per colpa del crudele destino, in un freddo pomeriggio dell’inverno del 1925.